appaiono superficiali e semplicistiche. Per esempio, il suicidio sarebbe avvenuto dopo deprivazioni sensoriali, lobototomia…
Allora potrebbe avere ragione Friedman!
A questo punto, la definizione “ terrorista” diventa una etichetta, perché è impossibile immaginare di tracciare un profilo psicodinamico, psicodiagnostico dei terroristi . (Friedman, Meneguz)
Ma, continuando nella volontà di rispondere alle domande IPA, perseveriamo nel chiederci che cosa generi, a livello macro, di grandi gruppi sociali, il fenomeno terroristico.
Ci addentriamo, cioè, in campi che non sono il nostro psicoanalitico, come consiglia di fare Friedman, prendendo per mano Twemlow. Pensiamo che le analisi sulle possibili interconnessioni macro-micro, tra dinamiche dei grandi gruppi e dinamiche individuali, tra medi-piccoli gruppi e individui (dinamiche psicosociali), forniscano risposte che ci aiutano davvero a capire qualcosa di più.
A questo proposito facciamo parlare due sociologi: Scott Atran (CNRS francese), sulle organizzazioni terroristiche suicide.
E Robert Pape, americano, sui terroristi suicidi.
Atran enfatizza il potere di condizionamento totale che ha l’organizzazione terroristica: senza questo potere, e senza leader, non esisterebbe terrorismo.
La natura umana cambia di poco, da questo punto di vista, alle varie latitudini: la necessità di venerare, il bisogno di essere protetti da un grande padre, di godere della gloria riflessa di una guerra, di essere eccitati da emozioni collettive, di essere ipnotizzati dallo spettacolo del potere…
Tutto questo è alla base di quella che Chasseguet Smirgel, una grande psicoanalista scomparsa di recente, chiama la <via breve>, incestuosa illusoria soddisfazione immediata del desiderio indicata dal leader...
Anche per questo, a nostro parere, soprattutto in certe culture fondamentaliste dove potere e religione convivono simbioticamente, si formano comunità chiuse con una forte impronta mistico-militare, affratellate nella realizzazione di un progetto segreto di vitale importanza: il sacrificio di ciascuno per la salvezza di altri fratelli e della comunità.
L’istruzione e l’addestramento di base avvengono proprio nelle scuole religiose , le “madrasse “, che si sono enormemente moltiplicate negli anni. (Terrore e Terrorismo insieme!)
L’appartenere a comunità chiuse, vere e proprie sette, vuol dire ricevere supporti di ogni tipo dal movimento religioso-politico…Dall’Islam, alle sette ebree ultraortodosse: la storia dei supporti si ripete uguale…
Il leader opera scelte razionali: con risorse limitate si può colpire un ganglio vitale economico, la popolazione civile di un paese ricco (scelta di importanza strategica, per la preziosità del capitale umano).
La scelta, nei terroristi e nei loro gruppi, avviene per snodi decisionali progressivi.
Si arriva a un gesto di utilità sociale molto alta, l’etica della scelta poggia su una visione comunitaristica della vita, i leader sponsorizzano il martirio come arma politica, trasformando desideri e affetti in microcomunità esplosive…
La scelta del martirio appare, però, “libera e volontaria”, in persone senza precedenti criminali, non psicopatici, spesso di classe media, istruiti.
In realtà, il futuro martire viene prima annientato nella sua identità, per arrivare a offrirsi come agnello sacrificale alla sua comunità, in una sorta di dissociazione indotta tra mondo emozionale, e atto suicida.
Il testo sacro, distorto, diventa un manuale.
E’ vero che l’offerta e la domanda di un estremismo così, oggi, è molto maggiore là dove la religione islamica è il carburante. Il mercato cristiano, in fondo, produce solo gli antiaboristi (non suicidi) che sono pochi, in America.
Ma, se facciamo un passo indietro nella storia (con gli storici I.Buruma e A. Margalit), e guardiamo ai piloti kamikaze…(Ricordiamo la battaglia di Okinawa, nell’aprile ’45, in cui 2000 kamikaze colpiscono più di duecento navi americane, e fanno 5000 morti).