Le donne, attraverso la rivoluzione algerina (‘58-‘62), l’ iraniana (‘79), la guerra in Libano (‘82)…nelle Brigate rosse, nel gruppo Baader Meinhof, tra le pantere nere americane, nell’esercito rosso giapponese, hanno acquistato sempre più importanza.
Con una paradossale conseguenza: le terroriste donne che sembrano sferrare, così, un colpo mortale alla loro società totalmente patriarcale, in realtà ne riaffermano appieno il codice di regole, che prevede proprio il sacrificio totale della donna fino alla sua cancellazione.
Quindi le donne terroriste non sono poche!
E sembra possibile perfino individuare delle differenze tra di loro: le palestinesi, per esempio, diversamente delle cecene, appartengono alla classe media, hanno studiato.
Sembra, infatti, in un primo momento, che le terroriste cecene siano solo contadine disperate, sottomesse all’oppressione prima di tutto maschile, al ripudio, alla colpevolizzazione.
Basta pensare al teatro di Dubrovka, nel 2002…
Leggo, nell’articolo di Meneguz , che la ventenne Raisa aveva chiesto alla polizia di essere protetta dal fratello Rustam che voleva venderla per qualche migliaio di dollari al capo della guerriglia, come aveva già fatto con le due sorelle.
La scelta suicida sarebbe una disperata risposta autodistruttiva per elevare la condizione femminile, in un paese di repressione sessuale, di svalutazione della donna, di ideologia totalitaria, di scontri tra popoli, in un clima di forte vergogna-colpa-redenzione.
Allora esistono le differenze, e forse esistono i modi per interpretarle!
Ma se lasciamo l’articolo in questione, e cerchiamo di conoscere di più, troviamo altre storie. Per esempio, quella di Zarina Alikhanova, che nasce da un padre ceceno alto funzionario, e da una madre ricca commerciante, sposa un dirigente della guerriglia cecena che viene ucciso, e passa al terrorismo. Applicando la nostra griglia teorica, potremmo parlare di un “sé grandioso”, o di un “falso sé”, a proposito di Zarina studente modello in una prestigiosa scuola tedesca, e eccellente a teatro?
Quello che davvero possiamo immaginare è che, anche in questo caso, l’asse vergogna-colpa-redenzione funzioni da detonatore, perché i valori di riferimento e le strutture mentali in questione sono costruiti in modo da farlo funzionare proprio così. (Vedi Twemlow e Friedman, assieme ).
Noi psicoanalisti, alla luce di queste indagini e di tante letture, possiamo, a questo punto, trarre qualche conclusione.
Pur essendo impossibile pensare al fanatismo come categoria diagnostica, viste anche le mille facce con cui si presenta , pensiamo che il terrorista attuale, per come lo abbiamo individuato, sia abitato da un’ideologia fanatica che permette di cortocircuitare i conflitti, ed eliminare la fatica del pensiero. Spesso alimentato da un odio transgenerazionale, con il bisogno di agire una grande aggressività, in uno stato di ipereccitazione, questo terrorista incontra un gruppo afflitto da integralismo e dogmatismo mescolati spesso a certe religioni monoteiste. (Basterebbe riconsiderare la nascita del terrorismo suicida: nella setta degli Zeloti ebrei (sicari), nella Giudea invasa dai romani. E nella setta islamica degli Assassini, al tempo delle prime crociate cristiane ).
Si tratta dell’incontro con gruppi e leaders in cui il terrorista può proiettare un Io Ideale smisurato, con cui si fonde. Senza essere in grado di usare, prima, la colpa-segnale.
Il terrorista può proiettare un SuperIo crudele, arcaico, struttura-autorità-Dio-capo con cui si riconcilia in una sorta di ubbidienza cieca, immolandosi.
Questa struttura, per così dire, terroristica, ci pare esistere sotto forma di stati mentali, in un continuum, come dice Friedman, sempre pericolosamente presente, quando esistono molte condizioni favorenti, in ogni popolo, in ogni gruppo, in ogni essere umano, ad ogni latitudine.
Una forma di ideologia ideologizzata che esplode come follia?
E la strategia che muove l’attuale terrorismo suicida? I capi? Sono folli?
Forse, nel caso dei capi, possiamo pensare a una scissione importante che permette di essere abitati da una parte folle, e, al contempo, da una parte sana che opera lucidamente.
Noi psicoanalisti, quando cerchiamo di interpretare il fenomeno dell’attuale terrorismo globale e le dinamiche mentali inconsce dei terroristi, corriamo un rischio. Quello di