e metabolizzata, alle angosce separative, e della alterità. Sentimenti, questi, ovviamente molto presenti in un Occidente che è (era?) a rischio di una idealizzazione quasi ideologizzante della democrazia, la quale comporta sempre più “sradicati” delusi dal contenitore democratico “perfetto”, perciò vuoto di reali possibilità.
In questi “sradicati” l’ideologia fanatica colma il vuoto lasciato dalle proiezioni massicce (la divisione in buoni e cattivi ), e il nuovo Ideale gruppale, Ideale promosso dal leader carismatico, sostituisce le istanze Superegoiche.
Vediamo da vicino alcuni gruppi, e alcune storie individuali.
Mentre i terroristi appartenenti a gruppi etnici separatisti, come l’IRA e l’ETA, a volte vengono reclutati da gruppi già appartenenti al crimine, i terroristi occidentali (Baader-Meinhof, Brigate Rosse…) sono in gran parte intellettuali senza precedenti.
Anche nel gruppo Jihadista, i leaders e i suicide bombers sono persone con un certo grado di studi, e, tranne i disoccupati disperati dell’Africa (Algeria, area subsahariana) e Medio Oriente, appartengono alla classe media.
I terroristi di Hamas vengono reclutati nei campi profughi, e dalla striscia di Gaza, ma appartengono generalmente alla buona borghesia dei territori. Dai 18 ai 38 anni, non hanno affatto il profilo tipico che noi ci aspetteremmo da un terrorista suicida: non poveri, non afflitti da povertà mentale…Qui, sembra davvero che l’odio transgenerazionale, la disperazione per ogni morto in famiglia, la chiusura delle prospettive, quindi l’asse di cui parla Twemlow, diano luogo ad una miscela esplosiva.
Ma perché tra gli ebrei ultraortodossi non si registrano attentatori suicidi, magari esasperati dalla violenza palestinese?
Perché non esistono più fratelli Maccabei?
(Naturalmente non si sta dicendo che tra gli ebrei non esiste il terrorismo, basta pensare al capo di stato Begin…)
Vengono alla mente due ipotesi: il terrorismo (soprattutto quello suicida) è davvero una guerra a bassa intensità, una forma di guerra asimmetrica, arma dei popoli più poveri e disperati.
E l’intensità del metabolismo emozionale in certe etnie, in determinati momenti storici, fa da detonatore.
Come se il caos protoemozionale devastasse, in questi casi, dando luogo ad una eccitazione dilagante che ordina l’agito, anche autodistruttivo, soprattutto di fronte a investimenti estenuanti e impotenti, generazionali.
E’ dunque il trauma attraverso le generazioni , il trauma dei genitori e dei progenitori che crescono i figli in un clima di paura, a indurre i figli a diventare facili prede delle dissociazioni psichiche difensive che, amplificate, possono essere alla base della deumanizzazione distruttiva.
Sappiamo infatti da R. Winnicott, e poi, da P. Fonagy e M. Target, quanto il sé nascente del bambino abbia bisogno di adulti capaci di rimandargli immagini congrue dei suoi stati mentali, in un clima di attaccamento sicuro.
Se invece crediamo all’esistenza della pulsione di morte (basta rileggere il bellissimo carteggio Freud- Einstein: <Perché la guerra?>, del 1932), possiamo pensare alla crescita a dismisura di questa pulsione in una sorta di cultura pura , quando una circolarità di certe precondizioni dà l’avvio al fenomeno intrapsichico individuale e gruppale.
E le donne terroriste?
N. Chodorow ( <Violence or Dialogue>) dice: <Sono poche>.
Però, le donne erano numerose tra i terroristi russi del diciannovesimo secolo, e, oggi, metà Intifada palestinese (dalla prima, dall’87 al ‘91, a quella recente del 2002) è di ragazze: Leila Khaled è quasi un mito.
R .Gandhi è stato ucciso anche da donne Tamil che porgevano fiori..