Certo, i kamikaze erano militari in guerra contro gli USA, ma erano anche intellettuali in lotta contro la corruzione occidentale del Giappone, contro il capitalismo, il vuoto morale, la banalità della cultura nordamericana. La purezza e la generosità delle loro menti avrebbe aperto la strada verso un Giappone più giusto…
Di nuovo ritroviamo menti fortemente ideologiche che crescono in comunità chiuse a forte impronta mistico-militare.
Ascoltiamo Sasaki Hachirò, morto a 22 anni: < Se il potere del vecchio capitalismo è qualcosa di cui non possiamo liberarci facilmente, ma che può essere fatto a pezzi dalla sconfitta nella guerra, allora stiamo per trasformare il disastro in una fortuna…>
Osama Bin Laden, oggi, nei suoi proclami, prende a prestito la retorica Kamikaze:
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R. Pape, direttore del progetto di Chicago sul terrorismo suicida, docente di Scienze Politiche, con un gruppo di lavoro che possiede una delle più grandi banche dati su tutti gli attacchi terroristici suicidi al mondo, dall’84 ad oggi, basate anche su fonti arabe, russe, tamil..: < La quasi totalità di attentati suicidi non è motivata da fanatismo religioso, ma risponde alla precisa strategia di obbligare le moderne democrazie a ritirare le truppe dai territori considerati occupati >.
Di qui l’idea che l’utilizzo di forze militari, invasione, guerra, moltiplichi il terrorismo suicida.
Osama e Al Qaeda ( gruppi militanti islamici dell’Asia centrale e sud orientale, della penisola araba, e del nord Africa) reagirebbero al fatto cha dal ’90 in poi gli USA hanno posizionato decine di migliaia di truppe di terra sulla penisola Araba.
Pape ha raccolto più di 500 storie, nella maggior parte delle quali il primo contatto con la violenza è l’attacco suicida. Nel suo libro < Dying to win> dice: < Il terrorismo suicida non è il prodotto del fondamentalismo islamico>.
Ma poi compare una forte contraddizione, quando sostiene che leaders nel campo del terrorismo suicida, fino a poco tempo fa, erano le Tamil Tigers, in SriLanka, un gruppo secolarizzato di derivazione hindu, che aderisce all’ideologia marxista.. Un grande fenomeno terroristico, dunque, dovuto a lotte interne, più che a invasioni.
( Pape è ovviamente al corrente del fatto che il terrorismo di venticinque, trent’anni fa, era d’orientamento prevalentemente secolare, mentre poi quello contemporaneo è basato sul nuovo insorgere di movimenti radicali religiosi. Ma, proprio per questo, l’idea dei territori invasi, occupati, come unica causa eziopatogenetica del terrorismo, è fragile.)
Il 95% degli attacchi terroristici deriva, comunque, da grandi organizzazioni. militanti che hanno supporti pubblici significativi… (Si ripropone la labilità del confine: Terrore o Terrorismo?)
Tutto questo ci riporterebbe alle tesi di Twemlow, cioè alla considerazione dell’asse umiliazione-vergogna-risentimento come possibile fattore eziopatogenetico della violenza distruttiva, fino alla sua deriva peggiore, il terrorismo.
La violenza sociale che nasce da questo asse, mescolata alla violenza dei processi psicodinamici di certe età, l’intensità del metabolismo emozionale in certe razze e culture, in dati momenti storici, le loro tappe di sviluppo psichico su cui ci interroghiamo, nel sospetto di conoscere troppo poco della interazione tra gruppo e individuo in certe culture, può dar luogo ad una spinta entusiastica-ipereccitante verso imprese ideali idealizzate, e può portare ad agire la più disumana della distruttività.
Se cerchiamo risposte anche attraverso i dati sociali, dobbiamo, di nuovo, avvicinarci all’idea di Twemlow: si tratta di uomini talvolta delusi da aspettative di vita realmente impossibili, o di sradicati immigrati di seconda e terza generazione, alla periferia di grandi città che non riescono ad accoglierli veramente. Città che appartengono a paesi democratici fortemente multiculturalisti, che sembrano aver prodotto atteggiamenti di così grande apertura pacifica, anche sulla base di difese come la rimozione, la negazione, e il diniego, utilizzate in modo eccessivo per fare fronte all’aggressività, alla colpa massicciamente presente, ma non riconosciuta