inconsce dei gruppi, per applicarli su larghissima scala a fenomeni molto diversi tra di loro per contesto storico, religioso, e geopolitico?
Il terrorismo, forse, è una “devianza” diversa da quella che incontriamo nella nostra psicopatologia.
Per esempio, per quanto riguarda l’attuale terrorismo suicida, che è un fenomeno non certo nuovo nella storia, ma nuovissimo rispetto ai connotati che sta assumendo, e alle conseguenze che sta comportando, e quindi terribilmente complesso, ci domandiamo quale reale problema psicologico esista in chi uccide e si uccide per terrorizzare e per uccidere, per una causa che per lui è giusta.
Nel senso che l’eventuale patologia mentale va sempre strettamente interconnessa ai valori di riferimento, e la spiegazione dei valori sociali di riferimento va ricercata ovviamente in altri campi.
Noi psicoanalisti, secondo la tesi di Friedman, dobbiamo limitarci ad esaminare persone e gruppi relativamente a quegli elementi (angosce, conflitti) che possiamo affrontare, e cercare di curare.
Non possiamo analizzare fenomeni come quello dei soldati che si buttano sulle granate per farle scoppiare, uccidendo il maggior numero di nemici, o dei piloti Kamikaze, o delle cellule estremiste della Germania nazista…
Comunque, proviamo ad entrare in alcune storie , attraverso alcune note biografiche di terroristi, tratte anche da un lungo e ricco articolo di Giovanni Meneguz, <Note sull’interpretazione psicoanalitica del Terrorismo e dei Suicide Bombers>, comparso, nel 1995, in Psicoterapia e Scienze Umane, XXXIX, 2, 165-192..
Tra i terroristi che Friedman definisce <Non afflitti da vergogna!> ci sono i giovani nordamericani che sparano nelle scuole: è vero che sono giovanissimi spesso senza gravi macrotraumi, o violenze domestiche evidenti, spesso senza droghe, appartenenti alla classe media (come molti delle nostre brigate rosse, e tra gli stessi terroristi suicidi islamici…)
Ma è anche vero che , se andiamo al di là della facciata, e incontriamo davvero le singole storie, scopriamo sottili, a volte tremende esperienze di stampo sado-masochistico, esperienze relazionali. precoci fortemente carenti ( è mancata ogni esperienza di reale intimità) spesso peggiorate da derive culturali, stress da lavoro estremo, spostamenti continui, isolamento dei nuclei famigliari… Scopriamo, quindi, rabbie narcistiche di proporzioni epiche, soprattutto nell’età dell’adolescenza . (Il binomio chiusura di prospettive sociali e pressione mentale adolescenziale intollerabile –dato psicosociale-, con quelle premesse, crea una miscela esplosiva).
Proprio in quanto psicoanalisti sappiamo bene che la vergogna generata dalla grandiosità come risultato di precoci fallimenti relazionali, con l’invidia sottostante, e l’idealizzazione che ne consegue, può portare ad agiti intensamente distruttivi.
Naturalmente siamo anche consapevoli del fatto che questa spiegazione può diventare un comodo “passe-partout” per capire tutta la devianza!
Comunque, seguendo le storie personali dall’interno, saremmo portati a dare ragione a Twemlow , il quale pensa che la causa della violenza distruttiva terroristica sia legata strettamente alla rabbia da vergogna, e da impotenza.
Poi, però, se torniamo ad allargare il campo della nostra ricerca sul terrore- terrorismo, ci ritroviamo al punto cruciale sostenuto da Friedman : <Ciò che è gli esseri umani interpretano come problema, dipende dai valori personali e sociali >.
Perché, se uccidere e morire per “una causa giusta” è egosintonico, sembra per lo meno azzardato andare a ricercare le radici del fanatismo, e della sua possibile conseguenza, la violenza distruttiva, nelle storie individuali, in eventuali fallimenti relazionali precoci, o in traumi più tardivi. (Piuttosto, se ci limitiamo all’attuale terrorismo suicida, le radici della violenza distruttiva vanno ricercate nel clima culturale-emotivo in cui le madri crescono i loro figli nell’idea di farne futuri combattenti rivoluzionari, fino al martirio).
Esaminiamo, allora, una cultura, quella islamica, che, in un qualche modo, non sanziona l’omicidio, e un testo sacro (il Corano), che vieta esplicitamente il suicidio, ma che, per una complessa tradizione fatta di scuole di pensiero differenti che rivoluzionano continuamente certi principi di fede, viene manipolato al punto da suggerire il suicidio sotto forma di martirio: quale patologia specifica potremmo trovare, se non quella legata a strutture mentali che aderiscono volentieri, a