Pa­gi­na 1 di 15


Pre­mes­sa al la­vo­ro : 'Alle ra­di­ci del­l'o­dio (Un'a­na­li­si del fe­no­me­no ter­ro­ri­smo)'.  

 

1. Pro­pon­go di ri­flet­te­re un mo­men­to sul perché di que­sto mio la­vo­ro, co­strui­to passo passo in senso po­trei dire de­co­stru­zio­ni­sta. Pro­pon­go di cer­ca­re di pen­sa­re in­sie­me la pos­si­bi­le ge­ne­si di un modo di la­vo­ra­re così. 

2. Il la­vo­ro mo­stra come pro­ce­de­re per ar­ri­va­re a un'e­ven­tua­le spie­ga­zio­ne, a chia­ri­men­ti, sulle psi­co­di­na­mi­che in gioco nel ter­ro­ri­smo; nella cop­pia im­pre­scin­di­bi­le terrorista-​terrorizzato; nelle strut­tu­re (micro e macro) ter­ro­ri­sti­che. 

3. Cerco di de­li­nea­re un per­cor­so di mar­cia e de­li­mi­ta­re un per­cor­so di ri­cer­ca, che, da su­bi­to -lo vedremo-​ si ri­ve­la­no ster­mi­na­ti. 

4. Po­nia­mo che il senso e l'in­ten­to di que­sto cam­mi­no di­ven­ti­no via via suf­fi­cien­te­men­te chia­ri e con­di­vi­si­bi­li. Ri­marrá co­mun­que da sco­pri­re in­sie­me se il senso e l'in­ten­to sa­ran­no suf­fi­cien­te­men­te 've­ri'. 

5. A pro­po­si­to di 've­rità con­di­vi­si­bi­le', ci ren­de­re­mo conto che quan­do di­cia­mo e pen­sia­mo certe cose (qui, sulla vio­len­za ter­ro­ri­sti­ca), lo fac­cia­mo solo in­se­ren­do­ci in una serie di ope­ra­zio­ni, di pra­ti­che (tec­ni­che, co­no­scen­ze spe­cia­li­sti­che nei di­ver­si campi, espe­rien­ze di­ver­se, di­ver­se at­ti­tu­di­ni ca­rat­te­ria­li etc). In buona so­stan­za, ci ren­de­re­mo conto del fatto che noi pen­sia­mo e par­lia­mo solo al­l'in­ter­no di ciò che pos­sia­mo chia­ma­re 'a­bi­tu­di­ni pre­di­spo­ste'. 

6. Solo ser­ven­do­ci di que­ste 'a­bi­tu­di­ni pre­di­spo­ste', in­fat­ti pos­sia­mo ar­ri­va­re a una verità con­di­vi­si­bi­le. Nel senso che solo por­tan­do alla pa­ro­la, al con­cet­to, i vis­su­ti pro­fon­di di que­ste no­stre 'a­bi­tu­di­ni',  ar­ri­via­mo a for­mu­la­re qual­co­sa che ge­ne­ra un senso per tutti, tran­si­to­rio e sem­pre in di­ve­ni­re. Ve­dre­mo inol­tre che le 'a­bi­tu­di­ni' sono tal­men­te de­ter­mi­na­te dalle mo­da­lità cir­co­stan­zia­li della vita, dal­l'am­bien­te, dalle tra­di­zio­ni per­so­na­li e so­cia­li, dai di­scor­si che siamo av­vez­zi a fare, -una serie di fat­to­ri in­som­ma che per lo più re­sta­no ta­ci­ti, quan­do non com­ple­ta­men­te oscu­ri nel di­scor­so esplicito-​, da  con­clu­de­re che sono pro­prio que­ste mo­da­lità cir­co­stan­zia­li con­di­vi­se a de­ter­mi­na­re il senso di verità. 

7. Quan­do in­co­min­cia­mo a se­gui­re que­sto modo di pen­sa­re (che de­fi­ni­rei 'ge­nea­lo­gi­co'), ci ren­dia­mo conto inol­tre del fatto che lo sfon­do del no­stro modo di pen­sa­re con­ti­nua a tra­sfor­mar­si  e a tra­sfor­ma­re le verità tutto il tempo co­strui­te e ri­co­strui­te. 

8. Ve­dre­mo cioè (nel la­vo­ro in­sie­me) come la verità (nel no­stro caso, le psi­co­di­na­mi­che alla base della vio­len­za ter­ro­ri­sti­ca) sia 'una verità a tem­po' e in molti casi con­tro­ver­sa. Il senso di verità in­fat­ti non sta nelle cose in se', nei fatti, o nelle ipo­te­si scien­ti­fi­che -nel no­stro caso, sui pro­ces­si men­ta­li dei terroristi-​, ma solo (ahimè!) in uno stato di con­di­vi­sio­ne per­du­ran­te. 

9. Tutto que­sto ov­via­men­te a pre­scin­de­re da qua­lun­que giu­di­zio di na­tu­ra etica, o le­ga­le, o altro, e dalla ne­ces­sità di di­fen­der­si dal ter­ro­ri­smo.