RIANNODARE I FILI


Abstract

Un orizzonte etico Riprendiamo il nostro fil rouge: il testo del filosofo Carlo Sini, Inizio. Apriamo a pagina 140

Un orizzonte etico

Riprendiamo il nostro fil rouge:
il testo del filosofo Carlo Sini, Inizio.
Apriamo a pagina 140

Bisogna “curare” i nostri valorosi scienziati dalla loro perdurante “febbre cartesiana”,, bisogna farli uscire finalmente dalla superstizione, per avviarli a una nuova religio, a una nuova consapevole unità del genere umano e della sua civiltà planetaria.
Questo mi sembra il reale compito etico moderno ai fini di una nuova alleanza, che, per la vita stessa della ricerca, sostituisca l’antica “unità”, il vecchio “Dio”, con una nuova
“natura”, copernicana, bruniana, spinoziana, grazie a una nuova “arte della vita”. Sino a che il lavoro scientifico non troverà la via per una integrazione così fatta, la
superstizione dualistica e la prepotenza ideologica continueranno ad assediare le nostre pratiche conoscitive e le loro applicazioni sociali, economiche, politiche.

Il livello di medicalizzazione della vita umana è diventato preoccupantemente alto, con il rischio di ridurre le personalità a insiemi circoscritti di coordinate neurochimiche, Nonostante ciò, siamo tutti sinceramente fieri dei magnifici risultati delle ricerche mediche, in particolare le neuroscientifiche.
Tutti riconosciamo e utilizziamo cure mediche che si avvalgono di tecniche molto avanzate.

È proprio per questo, perché abbiamo una medicina intelligente, dotata di strumenti sempre più potenti e di conoscenze iperspecialistiche, che non possiamo permetterci di continuare a cadere nella superstiziosa ricerca delle reciproche connessioni mente corpo cervello.

Quelle connessioni semplicemente non esistono, non svelano alcuna verità oggettiva; sono frutto di un abbaglio.
Mente, corpo e cervello non sono sostanze, non sono entità divise, che in qualche modo vanno riunite…ecc ecc
La domanda, quindi la ricerca sulla loro esistenza è insensata.

Non esistono modificazioni del cervello che provocano modificazioni della mente o, all’inverso, non esistono discorsi, parole, che provocano modificazioni nel cervello.
È assurdo parlarne, perché non esistono cose in sė, isolate, appunto, come mente, corpo, e cervello, che a un certo punto si connettono. Non si tratta di un universo ontologico, bensì epistemologico, legato alle diverse forme di conoscenza.

 

Un esempio

Da decenni, specialisti di formazione diversa, psicologi, psicoanalisti, psicosomatisti, medici, in particolare neuroscienziati,… sono al lavoro insieme per comprendere lo sviluppo del mente corpo studiandolo ai vari livelli (conoscitivi). Dal livello dell’organizzazione biologica, al livello del funzionamento socioculturale e psicologico. Da decenni gli studiosi si occupano insieme dell’interazione tra ambiente e maturazione delle strutture organiche e delle loro funzioni. Hanno così sviluppato un modello multidimensionale della relazione ambiente, struttura, e funzione, per avvicinarsi alla comprensione dello sviluppo emotivo umano, studiando per esempio come si crea in
modo interattivo e quali strutture/funzioni influenza il legame di attaccamento tra madre e bambino, la loro comunicazione affettiva. Tutti questi studi hanno portato a risultati chiari e affascinanti.

Ma c’è un punto debole, debolissimo:
gli straordinari risultati di queste grandi ricerche non ci fanno affatto conoscere delle realtà in sé, distinte, quali ambiente, mente, e corpo, e le loro influenze reciproche, colmando
appunto il gap mente corpo. Tutt’altro. Esse testimoniano, confermandolo in pieno, il fatto che l’intreccio di corpi, menti, e ambiente, è presente fin dall’inizio.

Come dicevamo, non ci portano affatto a pensare questo intreccio per giustapposizione di cose distinte, che si presuppongono esistere di per sé.
Tutto il contrario.
Ci portano a pensare che la fenditura tra corpi, menti e ambiente avvenga proprio per effetto della lingua alfabetica usata in Occidente.
E le singole lingue (le pratiche delle varie discipline impegnate), nella misura in cui rimangono vive, ognuna con la sua specificità, non svendendosi, possono aiutarsi moltissimo, arricchendosi reciprocamente (si definiscono meglio e aiutano a comprendere il rimando continuo tra universale e singolare). E fanno capire che il problema é appunto di natura epistemologica, di conoscenza, non ontologico.

(Vedi: “Il corpo e il senso. Dopo la Psicosomatica” Peregrini, pag 154)

 

L’idioletto scientifico

Il neuroscienziato e psicoterapeuta A. N. Schore, in La regolazione degli affetti e la riparazione del sé (2003, Roma, Astrolabio, 2008) a pagina 57 scrive:
La tomografia a emissione di positroni (PET) ha dimostrato che quando soggetti (…) fantasticano in silenzio su immagini cariche di affettività negativa legata alla perdita
dell’oggetto (per esempio immaginano la perdita della persona amata), si registra un incremento di flusso di sangue, particolarmente a carico delle aree orbitali
prefrontali (…). In altre parole è possibile, oggi come oggi, ottenere una rappresentazione “in linea”, in tempo reale, di una relazione oggettuale.

 

Critica del corrispondentismo

Ci sono almeno due “se” che ci inducono a prendere le “corrispondenze” a dir poco con estrema circospezione.
Per esempio, di fronte a studi che affermano che una certa parte del cervello chiamata cingolo anteriore si attiva quando si hanno situazioni di conflitto, dobbiamo chiederci
se, ogni volta che vediamo attivarsi il cingolo anteriore, siamo autorizzati a pensare che il soggetto in questione stia sperimentando situazioni di conflitto.
Affermazioni del genere (anche molto più articolate di questa) semplificano indebitamente la realtà, perché stabiliscono una connessione tra eventi, la quale, anche se tradotta in termini di rete piuttosto che di connessione lineare, rimane, per l’appunto, lineare. (Visto che la connessione tra diversi punti di una rete rimane lineare di per sé).

 

Non vogliamo contestare l’immensa suggestione che tanto semplicismo ha sul senso comune, e neppure il potere di convincimento retorico che hanno sempre
queste argomentazioni.

Vogliamo invece precisare come il livello di queste ipotesi resti puramente descrittivo di eventi concorrenti, dei quali non viene pensato, stabilito, precisato, il legame, il nesso.
(A testimonianza, ancora una volta, che il principio di causalità ha più a che fare con la retorica che con la realtà).
Quindi il corrispondentismo che sorregge queste ipotesi, bisogna pur dirlo, rimane semplicemente una forma di monismo materialista mascherato.
Infatti, la verità della serie psichica viene ammessa solo all’interno del reperimento della sua base somatica, che mantiene quindi un primato epistemico! (In quanto è più
osservabile) e ontologico (in quanto base a partire dalla quale lo psichico accade).

Ancora una volta viene omessa una riflessione seria sulla tipologia del legame e, più ancora, su come sarà mai possibile dedurre dal somatico (pensato come opposto allo
psichico) lo psichico medesimo.

Torniamo al discorso di Schore:
non può che affascinarci , ci induce a pensare alla simultaneità tra mentale e corporeo in senso proprio ontologico.

Peccato che le fantasie di perdita e i flussi di sangue in certe aree cerebrali, non siano affatto cose in sé, distinte, che vanno poi collegate…
Se pensiamo così, in termini dualistici, e rincorriamo ovviamente il solito monismo ontologico, ci toccherà continuare a rincorrerlo stringendo a più non posso (poveri
noi) i cordoni delle correlazioni.

 

Saremo allora caduti definitivamente nella trappola.

Il corpo che tocchiamo vediamo e misuriamo -in questo caso, con uno strumento meraviglioso che si chiama tomografo a emissione di positroni-, é più vero, più reale,
più concreto, perciò più importante della mente, che non vediamo???

Cosi, ci saremo fatti abbagliare del tutto dalla superiorità di quella che crediamo essere “la concretezza”, con le conseguenze del caso.

 

Ancora l’idioletto
il connettoma

Il cervello umano, costituito da una rete di cellule nervose, aree e sistemi interconnessi, ancora in grandissima parte sconosciuti, è probabilmente la macchina più complessa e
affascinante del nostro universo. Comprenderne il funzionamento e rivelare questa rete di connessioni attraverso una vera e propria mappatura, costituisce il campo di studio della connettomica.

Il connettoma è una descrizione strutturale completa della rete di elementi e connessioni che formano appunto il cervello umano. La sfida posta dagli scienziati è svelare l’attività di un po’ meno di cento miliardi di neuroni.

Ecco allora apparire il progetto Human Connectome, conl’obiettivo di creare un modello dettagliato che spieghi le relazioni struttura-funzione, partendo dall’analisi a livello cellulare fino allo studio macroscopico per aree cerebrali.

 

Le tecniche di mappatura del cervello

Varie le tecniche diagnostiche, a partire dalla TAC e RMN classica, che consentono di osservare la struttura macroscopica del cervello in maniera non invasiva, fino alle
alle moderne tecniche di neuroimmagini funzionali (fRMN, DTI, PET e qEEG), che stanno progressivamente raggiungendo l’obiettivo: permettono di rilevare cambiamenti
del metabolismo, dell’attività elettrica del cervello, del flusso di sangue e di ossigeno in determinate aree, e della diffusione delle molecole d’acqua presenti nei tessuti cerebrali.

 

E qui entriamo nel vivo della questione, in un progetto
(quasi fantascientifico), degno della saga di Star Wars.

Tutte queste metodiche individueranno danni cerebrali all’origine di malattie come depressione, ansia, deliri e allucinazioni, perché capaci di rilevare alterazioni anche in
cervelli che non mostrano lesioni macroscopiche evidenti, come in molti pazienti affetti da disturbi mentali.

 

I risultati di queste ricerche sono affascinanti. Ma il
senso che si dà a tutto il lavoro è assurdo.

Lo studio del connettoma potrà quindi rivoluzionare la classica suddivisione tra malattie neurologiche e mentali! (Nel primo articolo nel sito, anche noi abbiamo parlato di
Autismo).


Una mappatura delle connessioni cerebrali fornirà dunque informazioni sulle alterazioni cerebrali responsabili di disturbi mentali quali la depressione, l’ansia e le psicosi, permettendo diagnosi più accurate, e terapie mirate e più efficaci delle attuali.


La distinzione fra malattie funzionali e organiche non avrà quindi più ragione di esistere. (Nel senso che, mano a mano che le cause della malattia si faranno visibili, tutto apparirà avere radici nel corpo!!!).

Il messaggio del neuroscienziato S.Seung nel suo libro Connettoma (2012, Torino, Codice, 2013), suona più o meno così: potremo arrivare a conoscere la mappatura dinamica di ogni stato e processo mentale, non solo schemi motori e percezioni, ma ricordi, fluttuazioni emotivo-affettive, pensieri complessi. Si, potremo forse individuare le
"connettopatie" (deficit o anomalie di trasmissione sinaptica),, momenti eziopatogenetici di un largo spettro patologico, dalle sindromi autistiche a quelle degenerative..
Potremo pure entrare nel groviglio dei singoli neuroni, con le loro sinapsi e gli impulsi elettrici, i recettori e i neurotrasmettitori, là dove costruzione e eliminazione, cioè attivazione e inibizione degli stimoli, coesistono incessantemente. E infine vedremo neuroni sempre in movimento, mentre ripesano le connessioni, rinforzandole o
indebolendole; si riconnettono, creando o eliminando sinapsi; si ricablano, facendo crescere o ritraendo le modificazioni; si rigenerano, con nuovi neuroni che
prendono il posto dei vecchi.

 

Le sciocchezze

Insomma, leggeremo dal vivo le fluttuazioni emotivo affettive nel cervello [secondo lo scenario del perfetto riduzionismo biologico] e quindi diremo trionfanti di essere assolutamente in grado di conoscere la realtà (in sé) del corpo, del cervello,
della mente.

Allora le neuroscienze prenderanno definitivamente il sopravvento, e noi della psiche, se non avremo fatto l’adeguamento alle scienze necessario, spariremo.

No. Noi non spariremo affatto (almeno, non in questo senso).

E (parafrasando Sini), agli scienziati, agli psicoanalisti filo scienze in senso forte e, più in generale, al senso comune, che ci apostrofano come se fossimo dei mattacchioni
idealisti, rispondiamo:
no, noi non siamo dei mattacchioni idealisti, non crediamo affatto che il tavolo c'è perché lo pensiamo; e se non lo pensiamo più, rimane solo l'aria.
Non stiamo affatto dicendo questo.
Non abbiamo mai detto che le cose ci sono in quanto interpretate, in quanto poste in opera in una pratica.

Il fisico Carlo Rovelli in Helgoland scrive: non esiste un solo modo di vedere la realtà che non dipenda da una prospettiva.

Stiamo dicendo che le cose ci sono, eccome se ci sono, ma sempre e solo nel modo d'essere in una pratica; ovvero che non ci sono cose il cui modo d'essere non sia relativo a una pratica.
Ma non è che la pratica sia la causa del loro esserci, piuttosto, è la loro "modalità". Dire che "una cosa esiste", "una cosa sta così" indica che in quella pratica la trovi.

 

Altri discorsi, altri scienziati, con uno spessore diverso.
Per riannodare i fili.

Ilya Prigogine, fisico e chimico russo naturalizzato belga, Nobel per la chimica 1977, fa pensare in un modo diverso.
Non solo la regolarità del "cielo stellato" è una meraviglia di natura, è una meraviglia anche il cielo in cui evolvono le nuvole con forme sempre nuove.

Nel teatro della natura sta avvenendo un mutamento di scena: al paradigma "cartesiano", che calcola le stelle, succede il paradigma "darwiniano" che tenta di ricostruire la storia delle nuvole, in cui si ritrova quella del mondo…

L'intento è di delineare una prospettiva conoscitiva, in cui la "scienza della natura" sia congiuntamente "storia della natura",

Con Carlo Sini: dobbiamo approfondire il pensiero e la ricerca genealogici.

Noi siamo sempre soggetti all’alfabeto, ai suoi incanti e alle sue superstizioni: siamo guidati da questa pratica, non ce ne rendiamo conto. Nascosta al di sotto dei nostri saperi
distaccati e scientifici giace una sterminata catena di operazioni e altri saperi che si intrecciano tra loro e non vengono notati perché la nostra attenzione è catturata dal
fine della pratica presente; ma questa antichità di pratiche, seppur ignorata, non ci è indifferente, siamo soggetti a essa; noi siamo un oggetto interno a queste pratiche che costantemente accadono.

Siamo esseri che non hanno senso senza la loro storia; accanto alle verità della scienza ne esistono altre, con identica dignità e importanza…

Non avrebbe alcun senso sbarazzarsi dell’alfabeto o dei nostri saperi scientIfici, non i tratta assolutamente di questo.

 

Si tratta solo di capire qual’e la reale posta in gioco.

Non si può fuggire in un luogo altro, si tratta però di vivere all’interno dei nostri saperi e delle nostre pratiche assumendoci la responsabilità di come stiamo pensando.

Non c’è alcun altrove, alcun immaginario Oriente verso cui andare o a cui ritornare, c’è un Occidente in cui rimanere, trasformando il nostro modo di essere, utilizzando azioni sapienti (pratiche) che “sappiano” come fare.

Non esistono oggetti assoluti (ab-soluti), sciolti dalle pratiche che li hanno posti in essere.

Non esistono mente e corpo, come oggetti assoluti (da porre in relazioni) al di fuori delle pratiche che li istituiscono.

Sono le lettere dell’alfabeto a rendere possibile, come un vetro trasparente, l’idea di una realtà in sé, corrispondente onto-logicamente al concetto.

È questo l’abbaglio in cui cadiamo.

Come abbiamo già visto, mente e corpo così diventano oggetti dotati di sostanza, costretti a dividersi e a riunirsi “fintamente” in un gioco di specchi all’infinito.

 

Una nuova alleanza

Pensiamo al Ilya Prigogine e allo storico Luigi Zanzi, con l’idea di una “nuova alleanza”. Pensiamo a Ilda Prigogine e a Isabelle Stengers, chimica e
filosofa belga…
Pensiamo agli studiosi che lasciano intravedere una relazione tra i processi di autorganizzazione spontanea e la stessa vita umana, che implicano una revisione dei concetti di scienza e di universo veicolati dalla rivoluzione copernicana, mettendo in gioco le nozioni di struttura, di funzione, di sistema sociale, di storia.

La nuova alleanza” si sviluppa con un legame ideale, con un altro scienziato, Jacques Monod, biologo e filosofo francese, Nobel per la medicina 1965, per placare l’angoscia dell'uomo moderno, che viene dalla separazione tra mondo dei valori e mondo della conoscenza introdotto dalla rivoluzione scientifica. Una rivoluzione che ha infranto l'”antica alleanza” tra l'uomo e una natura animistica governata dal finalismo.

L'antica alleanza è infranta; l'uomo finalmente sa di essere solo nell'immensità indifferente dell'universo da cui è emerso per caso.

Prigogine e Stengers riconoscono il rigore e la coerenza delle disincantate conseguenze filosofiche di Monod: da una scienza come quella classica tesa a determinare le leggi universali di un universo-orologio, regolato da un meccanismo semplice e
reversibile, a una scienza che avanza l’ipotesi di un destino cieco e scandito dal caso e dalla necessità fisica e biologica, indifferente a ogni finalità e a ogni condizione.

 

Ma si può andare oltre: le prospettive aperte dall’odierna scienza pongono le condizioni per una “nuova alleanza” , appunto.

L'antica alleanza animistica del mondo finalizzato è morta, ma è morta anche la moderna alleanza, l'alleanza del mondo-orologio sul quale lo scienziato moderno si sentiva investito a esercitare la sua giurisdizione.

È ormai tempo per nuove alleanze, alleanze da sempre annodate, per tanto tempo misconosciute, tra la storia degli uomini, della loro società, dei loro saperi e l'avventura esploratrice della natura.

Bisogna riannodare le due culture separate dalla scienza moderna, far vedere che le scienze matematiche della natura, nel momento in cui scoprono i problemi della complessità e del divenire, diventano anche capaci di capire qualcosa del significato di alcune fondamentali questioni espresse dai miti, dalle religioni e dalle filosofie.

 

Il Metodo
Universale 🔁 Singolare

1) Mettere in movimento tutto.
2) Transizione del “sapere riguardo a”, all’essere.
(Un sapere che come abbiamo ormai capito è sempre
relativo e in divenire, perché soggetto all’infinito intreccio di
pratiche che lo generano di volta in volta),

Per parlare di Metodo ritorniamo al Commento del filosofo Mauro Mocchi, nel sito, dopo i tre articoli iniziali.

Rivediamo il pittogramma del nostro modello, il Nastro di Möbius. (Qui in fondo)
Guardiamolo nel suo svolgersi continuo.

Se adottiamo la visuale della scienza, di cui dobbiamo tenere assolutamente conto (ci consegna l’universale), il nastro è “una superficie non orientabile”, perché privo di un
solo punto che consenta di orientarsi, di stabilire coordinate e proporzioni; qualunque punto indifferentemente può svolgere la stessa funzione. Può cioè farsi origine delle tre
perpendicolari necessarie a formare un volume, uno spazio entro cui si possono definire con esattezza luogo e movimento di ogni cosa. Appunto perché manca un’origine o soglia prefissata, il nastro non può che avere una sola faccia e un solo bordo.

Muovendo da un punto a caso della superficie, la riga di una matita passerà insensibilmente dal lato esterno al lato interno, per ritrovarsi, senza incontrare ostacoli o curve a gomito, al punto di partenza.

Questa definizione del nastro di Möbius, per il fatto di essere scientifica (e alla portata di chiunque), diventa ipso facto di interesse collettivo.

Che fare, per fare altro?

Non si tratta di fare “contro” -ridurre tutto a opposizioni è il punto di forza della scienza-, ma si tratta di fare “accanto”, continuando semplicemente a svolgere il punto di vista di
altre visuali, dalla psicoanalisi all filosofia all’arte..., , in modo che i loro punti di forza integrino e arricchiscano il punto di vista della cultura dominante, cui verrà sottratta la parte eccedente del dominio.
Non si tratta di semplice giustapposizioni.

Questa visione scientifica del nastro la si può accogliere con interesse, ma solo a condizione che il salto dalla parte al tutto, il processo induttivo, sia illuminato da un
lunghissimo cammino storico, a ritroso, che evidenzi il più possibile gli innumerevoli passaggi per arrivarci.

Per la diagnosi e la cura, non solo della sofferenza psichica, non possiamo appoggiarci unicamente alla direzione generica e al criterio statistico indicato dalla scienza.
(Anche là medicina sostiene che una malattia è tale se in cento diverse persone è cento malattie diverse).

Vediamole allora le “altre” possibili direzioni e dinamiche del nastro di Möbius.

È vero che il nastro ha una faccia sola, ma è anche vero che, a un certo punto, questa faccia subisce una torsione che ne sdoppia e inverte il senso.
Grazie a questo singolo punto di svolta, la continuità del movimento, oltre a essere un generico andare e venire (letto dalla scienza), può scandirsi in altri tre modi.

1) Può essere un crescere o un diminuire, rispetto a quel punto, della distanza e della velocità, cioè dello spazio in rapporto al tempo, o della quantità rispetto alla qualità.
2) Può essere un movimento di trasformazione o passaggio, attraverso il punto, da un opposto all’altro.
3) Può aprirsi ad altre infinite differenze.
Nel senso che proprio quel punto diventa potenziale apertura all’infinito. Si chiama, appunto, apertura o soglia, e coincide col punto stesso, con la sua unica e indefinibile identità.

Nella visuale della scienza il momento della svolta è invece un punto come un altro.
La matita lo attraversa ma non vi si sofferma, perché il suo scopo è stabilire costanti e tipicità comuni a più punti o meglio a tutti i punti, compresi quelli esterni e estranei al suo percorso.
Drastica semplificazione del reale, questa, che, a un pensiero calcolante sempre più rapido, fa apparire frammenti di realtà sempre più piccoli (l’intera Machenschaft dell’Occidente per ...produrre un tomografo a fotone singolo).

Bisogna, allora, come “curanti della psiche”, non finire sempre più schiacciati sui dati delle scienze cosiddette esatte.

Bisogna riannodare i fili del dialogo nella direzione indicata dai tre livelli di lettura e postura del nastro di Möbius, verso una pratica del pensiero che torni a mediare i termini in gioco, rendendo fruttuose le sue analisi grazie a un più profondo lavoro di sintesi.
Solo l’anabasi al motore apparentemente immobile della sostanza dà una reale capacità catabatica.

 

Il fisico Carlo Rovelli, in Helgoland:

La migliore descrizione della realtà che abbiamo trovato è in termini di eventi che tessono una rete di interazioni. Gli «enti» non sono che effimeri nodi di questa rete. Le loro proprietà non sono determinate che nel momento di queste interazioni e lo sono solo in relazione ad altro: ogni cosa è solo ciò che si rispecchia in altre. Ogni visione è parziale.

Non esiste un modo di vedere la realtà che non dipenda da una prospettiva. Non c'è un punto di vista assoluto, universale. I punti di vista tuttavia comunicano, i saperi sono in dialogo fra loro e con la realtà, nel dialogo si modificano, si arricchiscono, convergono, la nostra comprensione della realtà si approfondisce.

 

 

LA CLINICA PSICOANALITICA
nel sito claudiaperegrini.com

In italiano:
https://lnkd.in/dEYCqJjT

In inglese:
https://lnkd.in/dAbaPcsB

Autore: Dott.ssa Claudia Peregrini
Tel: 00393397469709
E-Mail: c_peregrini@yahoo.it
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