L’Universo, il Corpo, l’Inconscio, l’Intelligenza Artificiale


Abstract

L’Universo, il Corpo, l’Inconscio, l’Intelligenza Artificiale

L’UNIVERSO
L’universo esiste indipendentemente da noi?
Forse sì, forse no.
Se non lo incontro, se non entro in relazione con lui, come faccio a saperlo?
So che non è “creato” dalla mente umana, ma so anche che non possiamo mai
arrivare a conoscerlo com “cosa in sé”, quindi l’universo esiste (per noi) quando ne
facciamo esperienza, un’esperienza che è sempre mediata.

Le scienze (una volta chiamate dure) invece hanno la certezza che esista un mondo oggettivo “là fuori”, perché funzionano su quella base, assunta come ipotesi operativa. È una scelta metodologica, la loro, non c’è alcuna prova assoluta.

Davanti alle immagini spettacolari dell’universo, galassie lontanissime, nebulose piene di colori, buchi neri…, l’illusione è potente: immersi nella vastità sconcertante, abbiamo la sensazione di veder sfilare l’infinito in diretta, per così dire “dal vivo”.
Non è vero, ne stiamo vedendo solo una rappresentazione filtrata (mediata) dalla tecnologia, dalla scienza e dalla nostra stessa percezione.

Non vediamo “a occhio nudo” e le immagini sono rielaborate, i dati grezzi arrivano come segnali, gli scienziati li convertono in immagini visive usando codifiche di colore, contrasti e filtri.

Si tratta sempre di interpretazioni scientifiche.

Dove nasce l’illusione di poter accedere all’universo in sé?
Per l’euristica della realtà visiva, il nostro cervello segue il principio secondo cui “vedere è credere”.

Così, quando osserviamo un’immagine dettagliata e strutturata, pensiamo che sia una presentazione diretta della realtà, mentre è frutto di un’elaborazione computazionale.

In un film memorabile di Christopher Nolan, “Interstellar”,un viaggio spettacolare di scienza
e fantascienza combinate, attraverso wormhole e buchi neri, appare il fantastico buco nero
Gargantua …
Pur sapendo benissimo che è simulato utilizzando equazioni reali della relatività generale, Gargantua è una rappresentazione talmente dettagliata, da farci credere in una “realtà assoluta”.
Sono gli effetti di lente gravitazionale che distorcono la luce delle stelle dietro il buco nero, basati su calcoli scientifici, a dare l’effetto di verità totale.

Il CORPO (umano)
Il corpo esiste indipendentemente da noi?
Forse si. Forse no. Non posiamo saperlo.
Così come non possiamo accedere all’universo “direttamente”, ma solo attraverso filtri fatti di telescopi, radiazioni elettromagnetiche, equazioni matematiche, -le nostre sono sempre e solo interpretazioni basate sulle categorie spazio-temporali e concettuali che abbiamo a disposizione-, ugualmente, non possiamo accedere alla realtà del corpo in maniera diretta.

Abbiamo bisogno di strumenti e tecnologie (la risonanza magnetica, la microscopia, la biologia molecolare…), che non ci danno un accesso “puro” alla realtà: i dati, influenzati dal modello scientifico con cui li leggiamo, devono essere interpretati.

Quindi, l’accesso alla realtà (del corpo) è sempre filtrato: sia dai limiti biologici della nostra percezione, sia dagli strumenti concettuali e tecnologici con cui cerchiamo di comprenderlo.

Un’ obiezione
Figuriamoci se non esiste la realtà “ in sé”!
L’universo ha 13,8 miliardi anni, c’era ben prima di noi!
Dunque esisteva indipendentemente da noi.

In effetti, sono proprio questi miliardi di anni una delle migliori descrizioni che possiamo fare grazie alle nostre teorie fisiche e agli strumenti di misura. Arriviamo a dire che l’universo ha tot anni basandoci su misurazioni della radiazione cosmica di fondo, sul modello del Big Bang e sull’espansione dello spazio…

Inoltre, cos’è il tempo se non una categoria della nostra esperienza?

Il tempo, secondo la relatività generale di Einstein, non è neppure assoluto, dipende dal sistema di riferimento, può essere dilatato o contratto.

Infine, se non vi fosse alcun osservatore, avrebbe senso parlare di “tempo” come lo intendiamo noi?

Il CORPO (misurato)
Dicevo che I dati organici, pur non essendo certo illusioni, non si sognano neppure lontanamente di essere “cose in sé”, indipendenti dalla nostra conoscenza.
Sono anch’essi costruzioni che emergono dal nostro modo di misurare e interpretare il corpo.

Naturalmente esistono le regolarità statistiche. Per esempio, la frequenza cardiaca a riposo, che, negli adulti sani, oscilla statisticamente tra sessanta e cento battiti al minuto.

Ma anche i dati delle regolarità, per quanto si ripetano più o meno sempre uguali in vasti campioni di popolazione. non parlano da soli, devono essere analizzati e interpretati. Le teorie e i modelli utilizzati per dare loro senso, possono introdurre bias o dipendere da ipotesi non verificabili.

La conoscenza, poi, che è sempre situata, storicamente e linguisticamente determinata, cambia in continuazione. Ciò che noi oggi consideriamo come dati “oggettivi”, può essere rivisto o ridefinito, domani, con strumenti migliori o nuove scoperte.

Per esempio, in passato, si consideravano oggettivi certi dati sulla materia e sull’energia oggi completamente superati dalla fisica moderna.

A questo punto, non si può non convenire che, quando la scienza parla del corpo e delle sue misure, lo fa nell’unico modo possibile, attraverso un filtro teorico e tecnologico, in continua evoluzione.

Come gli strumenti modellano i dati?

Gli esami diagnostici non “leggono” semplicemente, tout court, la realtà del corpo, ma la traducono in un loro linguaggio.

Dicevo che una risonanza magnetica non mostra il cervello “così com’è”, ma una sua rappresentazione costruita in base a segnali elettromagnetici e algoritmi di elaborazione.

Viviamo in una nebulosa di grande ingenuità realista se pensiamo che un’immagine cerebrale sia una fotografia diretta della mente al lavoro. Quasi avessimo accesso immediato alla realtà neurobiologica senza mediazioni!

Dicevo che il cervello, come qualsiasi altro oggetto di studio, è sempre interpretato, attraverso strumenti e teorie che ne modellano la comprensione.

E poi esiste l’effetto osservatore anche in biologia.

Come in fisica quantistica si parla di “effetto osservatore”, anche in medicina l’atto stesso di misurare può influenzare il risultato. Pensiamo per esempio all’effetto placebo, liquidato spesso con l’idea grossolana che si tratti di pura suggestione.L’effetto placebo dice qualcosa di molto più preciso: la sola percezione di essere in cura può modificare la risposta biologica del corpo

L’INCONSCIO
Se l’inconscio è l’infinito, allora non è certamente reperibile in, o assimilabile a; non è un “luogo”, nel cervello, o nelle reti neurali, comunque, nel corpo, ma è una sorta di “struttura” di fondo e un limite mai raggiungibile, che, (attenzione!), proprio perché irraggiungibile, proprio perché infinito, rende possibile il pensiero umano, finito.

In matematica, si può lavorare con quantità finite solo perché esiste il concetto di infinito (ad esempio, il calcolo infinitesimale si basa sui limiti all’infinito)…

Dicevo che, allo stesso modo, il pensiero finito dell’uomo può esistere solo perché è sostenuto da uno sfondo infinito che lo eccede sempre.

Più precisamente, infinito in senso matematico non si riferisce al fatto di contenere un numero infinito di elementi, ma al fatto di essere un processo in continua trasformazione, che sfugge a ogni tentativo di chiusura definitiva.

L’inconscio pensato come infinito (basato su una solida tradizione di pensiero) modifica il modo in cui si cura in psicoterapia e forse anche in medicina: non si tratta di far emergere, o “tirare fuori”, qualcosa di già presente e nascosto, ma di essere spinti a entrare, curante e curato, insieme, in un campo aperto, in cui il senso (tendere alla guarigione) non è mai dato in anticipo, si co-costruisce e varia continuamente, mano a mano che le possibilità di immaginare prendono il volo.

I sogni, da messaggi cifrati, diventano spazi di possibilità infinite…

La cura, che ruotava intorno a un lavoro di “svelamento”, si fa apertura a continue, nuove configurazioni di senso...

Sfuma la ricerca di cause traumatiche (il famoso Trauma) (molte psicoterapie sono diventate una vera caccia al tesoro-trauma).
La psicoterapia si configura come il trattamento per eccellenza che stimola un gioco di connessioni potenzialmente illimitate.

Oggi sappiamo bene che non è solo il passato (trattato come archivio) a influenzare il futuro, ma è anche il futuro a fare un buon lavoro sul passato..

Proprio le neuroscienze ci dicono che la mente umana può essere vista come un sistema dinamico aperto con una quantità di stati virtualmente infinita.
E, se i neuroni nel cervello sono finiti, il numero delle loro combinazioni possibili è così grande da comportarsi praticamente come un infinito.

Eppure rimane tuttora potente l’illusione che un livello (il neurobiologico) possa essere più importante perché più “reale” di un altro (l’esperienziale), come se il dato corporeo avesse meno bisogno di interpretazione rispetto al mentale!

Che ingenuità.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE (Modificherà l’Inconscio?)
Se è plausibile che l’I.A. possa modellare sempre più aspetti del nostro pensiero cosciente e persino delle nostre associazioni non coscienti; per quanto sofisticata e enormemente espandibile, se allenata, per quanto interlocutore “geniale”, a tratti, onesto e perfino empatico, l’IA resta un sistema computabile, mentre l’inconscio è e rimane ciò che eccede la computabilità.

Il punto di frattura sta qui: non può esistere un’inconscio senza eccedenza, senza un oltre.
Se l’inconscio è ciò che non si lascia mai del tutto rappresentare, allora per sua natura sfuggirà sempre a qualsiasi formalizzazione, compresa quella dell’I.A.

L’INCONSCIO COME SPAZIO TOPOLOGICO (e il corpo umano come confine).
Potremmo vedere l’inconscio come uno spazio topologico infinito, mentre il corpo sarebbe un limite, una superficie, attraverso cui l’inconscio si manifesta nel mondo materiale.

Così come l’orizzonte non è un punto fisso, ma un limite del nostro campo visivo, il corpo potrebbe essere il limite attraverso cui l’inconscio infinito si rende percepibile.

Potremmo immaginare che l’inconscio non ha una forma fissa o un confine definito, ma funziona come uno spazio infinito in cui le idee, le emozioni e le esperienze si connettono tra loro in modo continuo, senza una struttura rigida o chiusa.

Il corpo, allora, potrebbe essere un punto o una regione limitata all’interno di questo spazio non esauribile.

L’I.A., essendo un sistema discreto e finito, lavora con modelli chiusi, algoritmi e insiemi di dati delimitati. Anche quando simula reti neurali profonde o genera testi, immagini e decisioni in modo da sembrare (essere?) “creativo”, in realtà opera all’interno di un insieme chiuso di regole. Ogni output è una variazione di ciò che è già stato inserito nel
sistema, anche se in forme nuove.

L’inconscio come infinito, invece, si manifesta come una rete in perenne trasformazione, in cui ogni nuova connessione può generare possibilità mai prevedibili a priori. Non è solo una questione di vastità (come fosse un database enorme), ma è una questione di
creatività radicale, qualcosa che sfugge a ogni sistema chiuso di calcolo.

Il corpo si situa in un territorio intermedio: è finito e misurabile, ma vive non solo il il suo tempo, si modifica, procrea, si ricrea, anche nel genoma, attraversato da tensioni, affetti, che passano alle generazioni successive e vengono dalle precedenti… In questo senso, dove comincia e dove finisce?

Il corpo umano quindi non è solo un sistema fisico misurabile , ma è anche un campo di risonanze con un inconscio che non può mai essere chiuso in un algoritmo.

IL CORPO come turning point.
Il corpo umano così appare una sorta di turning point, un punto di svolta tra l’infinito dell’inconscio e il finito della realtà biologica misurabile.

Il corpo come interfaccia tra finito e infinito, ponte tra due ordini di realtà. Una zona di transizione tra un inconscio infinito, che potremmo pensare anche come insieme indefinito di possibilità, pensieri, immagini e affetti, non pienamente misurabili, soprattutto non delimitabili.

In termini matematici, il corpo è sia uno spazio funzionale infinito, un insieme di potenzialità non riducibili a un numero finito di stati, sia una realtà biologica finita, un sistema fisico limitato nello spazio e nel tempo, con misurazioni precise (peso, altezza, struttura chimica, parametri vitali…), collocabile, da questo punto di vista, in uno spazio topologico compatto e misurabile.

Il corpo umano cioè è un paradosso vivente, da un lato, infinito nelle sue possibilità funzionali e potenziali, la mente, le emozioni, il movimento, le interazioni, dall’altro, finito, misurabile, collocabile nello spazio-tempo.

È sia concetto, sia materia
In una condizione di reversibilità continua.

Autore: Dott.ssa Claudia Peregrini
Tel: 00393397469709
E-Mail: c_peregrini@yahoo.it
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