Frammenti - Dal libro “Il Corpo e il Senso. Dopo la Psicosomatica.”
Abstract
L’angoscia dell’ipocondriaco riguarda il corpo. È un problema fisico o psichico? Esterno o interno? Come si cura?
Un frammento clinico
Un paziente ipocondriaco sui trent’anni, con dolori migranti in tutto il corpo, riferisce all’inizio di una terapia analitica un’intensissima angoscia di ammalarsi di cancro e morire.
Cosa succede nella relazione tra paziente e analista?
Come ‘intervengo’?
Prima di tutto, anche se mi racconta che gli esami medici a cui si è sottoposto sono tutti ‘negativi’, il suo dolore mi rimane in mente come fatto ‘reale’ (come clinico, sono abituata a pensare così).
Naturalmente, noi psicoanalisti -qualche volta lo dicono anche i medici- diciamo di dare sempre uguale peso, uguale attribuzione di realtà, all’organico e allo psichico, ci mancherebbe. Ma sospetto che non sia sempre vero. Spiego al paziente questo fatto, la fatica ad attribuire ugual peso a ciò che si legge con strumenti medici e a ciò che si intuisce invece con strumenti psicoanalitici.
Il paziente è stupito da queste mie parole, risponde di non averci mai pensato.
I dolori e l’angoscia cominciano a transitare nei colloqui analitici a un doppio livello.
Sento che questo giovane ‘utilizza’ il discorso ossessivo sui sintomi e sulle paure per contenere l’ansia pervasiva e contro lo stato di grave dissociazione iniziale e capisco che i dolori esistono anche ‘concretamente’; non sono come si suol dire solo fantasie.
Vediamo perché.
Vero, reale, non è solo il livello tradizionalmente ritenuto concreto con la lingua medica che lo regge!
Vero, reale, non è solo ciò che vedo, tocco, misuro con gli esami e gli strumenti medici, che tra l’altro cambiano in continuazione!
Poco per volta, utilizzando il discorso (quasi) dualista del doppio livello, condividiamo in seduta questa comprensione dei fatti. Naturalmente questo è solo un passaggio, il primo.
Più avanti il paziente si renderà conto del fatto che 'fantasie' e 'circuiti nervosi', e 'molecole', sono solo parole distinte per dire un mentale e un corporeo che dall’inizio vivono di un legame imprescindibile, per differenza l’uno dell’altro, in un rimando quindi necessariamente continuo...
Frammenti teorici
1. Via da ogni dualismo mente corpo (Il tema del libro)
Quando ci muoviamo sul terreno dell’unità chiasmatica, ci accorgiamo che non siamo più obbligati a ragionare come se avessimo in mano una sola medaglia e dovessimo continuamente capovolgerla, per passare dalla faccia del ‘soggettivo’ (il mentale) a quella dell’‘oggettivo' (il corporeo).
‘Emozioni’ e ‘Affetti’ smettono di essere ‘cose’ con le loro proprietà, concrete e astratte, per diventare solo nomi, diversi; due letture differenti di un eterno identico accadere: l’essere sempre in bilico del fatto corporeo, in questo caso, l’emozione, il suo perenne divenire evento della mente, in questo caso l’affetto e, viceversa, l’essere sempre in bilico dell’evento mentale, l’affetto, il suo perenne divenire fatto del corpo, l’emozione.4 Il corporeo cioè esiste proprio solo come differenza del mentale e il mentale in quanto differenza del corporeo.
Non è più possibile concepire l’uno senza l’altro, perché l’uno costituisce la condizione di possibilità (negativa) dell’altro.
L’uno senza l’altro è impensabile.
Per tradurlo in immagini, immaginiamo il nastro di Möbius (nato come figura geometrica rappresentata da una superficie allungata ritorta di centottanta gradi, con una sola faccia e un solo bordo) e pensiamo alla sua stretta attinenza al concetto di infinito: in un nastro che scorre ritorcendosi continuamente e presentando quindi sempre una sola faccia e un solo bordo, diventa assurdo chiedersi dove posizioniamo il corpo e dove la mente.
Nastro di Moebius
Dove posizioniamo la pallina? La pallina non è mai ferma, scorre sempre, in bilico, definendo interno e esterno.
Fatti corporei e eventi mentali scorrono, sempre in bilico tra esterno e interno.
2. Talking cure. Come curano gli psicoanalisti?
2.1. (Secondo il tradizionale dualismo mente corpo)
Più letture dicono che gli psicoanalisti curano a vari livelli.
A livello affettivo-cognitivo, espandendo progressivamente la complessità mentale; a livello corporeo, modificando la fisiologia del 'corpo'.
Secondo una lettura medica, infatti, la cura psicoanalitica introduce elementi di regolazione del sistema nervoso autonomo e degli ormoni che influenzano direttamente la trascrizione genica, modificando le terminazioni nervose. Così, E. Kandel5, neuroscienziato Nobel della medicina nel 2000, dimostra che le esperienze diventano (anche) strutture biologiche, nel senso che l’attivazione continua di cellule a livello di certe giunzioni neuronali innesca meccanismi genetici cellulari che promuovono la crescita di ulteriori sinapsi in corrispondenza delle stesse giunzioni.
Le cellule crescono e si connettono tra loro grazie a sinapsi costantemente attivate da input ambientali. E il grado e la piacevolezza dell’attività hanno effetto trofico di per se stessi.
In tal modo la parola può promuovere un’espressione proteica dei geni, i quali, influenzando i canali ionici presinaptici, modificano la funzionalità delle aree nervose interessate, il numero, e la potenza delle sinapsi.
La parola, attraverso le emozioni che evoca, modifica grazie alla plasticità sinaptica la struttura e le funzioni delle aree nervose interessate.
Quando un’area corporea si modifica, l’intero corpo si modifica...
Dunque, se rimaniamo a livello biologico, possiamo dire che la parola e gli affetti veicolati influenzano il corpo, proprio come fanno, più velocemente, ma meno durevolmente, certi farmaci.
Tutto ciò, naturalmente, finché restiamo nel campo del dualismo e nel causalismo.
Ma, quando entriamo in una logica diversa, nascono alcune osservazioni.
2.2 La strana identità tra corpo e mente.
(Il terreno dell’unità chiasmatica)
Pensare che la parola non sia un atto del corpo, è un’astrazione che prescinde del tutto dal suo evento, e cede alla superstizione del significato, dimenticando invece che la parola nasce, si inscrive e procede dal corpo al corpo, dai corpi ai corpi.
Per dirlo con Didier Anzieu (e con i poeti, per esempio il Rimbaud di Voyelles), la parola ha qualità materiche e sensibili.
La parola in quanto suono è il primo involucro della mente, fin da certe fasi della gestazione del feto. E, come diverse ricerche ormai confermano, secondo una lettura singolare, soggettiva (non rimanendo quindi a livello biologico), gli esiti delle talking cure hanno effetti più ricchi e duraturi dei soli farmaci psicotropi. Addirittura, a volte, hanno effetti più immediati e stupefacenti: quanti di noi hanno fatto esperienza, come analisti e come pazienti, di incontri terapeutici quasi magici, allorché, arrivati in seduta con angoscia e crampi allo stomaco, ne siamo usciti senza più dolori né ansia.
Questo succede poiché le parole modificano ciò che chiamiamo fisiologia corporea e lo fanno non perché sono magiche, ma per due fondamentali ragioni. Perché sono, come abbiamo detto, eventi carnali tanto quanto un’azione del braccio o un’impressione sensoriale (sia acustica, sia motoria, sia fonatoria, sia interna, -quando proferiamo parola, emettiamo un suono -, sia esterna - quando ascoltiamo, fosse anche la nostra stessa parola, come soggetti al nostro dire). Dunque, non si vede perché le parole non dovrebbero avere una operatività che siamo abituati a definire concreta, somatica.
La seconda fondamentale ragione è che non si vede perché le parole non dovrebbero essere terapeutiche, ossia non avere a che fare con la verità della nostra sofferenza.
Tutto questo ci dice che questa verità, lungi dallo stare nel mondo ideale dello spirito, è già disposta, allocata, ha la forma e la natura della nostra presenza carnale al mondo, ben prima e ben più profondamente di qualunque sciocchezza che possiamo raccontare a noi stessi.
Tutto quello che si è detto finora ci dovrebbe suggerire ancora una volta l’esperienza di una ‘strana’ identità (che possiamo chiamare disidentica) tra corporeo e mentale: le parole hanno una carne e una dimensione corporea e il corpo è significante in quanto tale; noi dobbiamo imparare a decostruire la pretesa che il lavoro della mente sia solo ideale e la vita del corpo sia solo materiale, e Inscrivere finalmente il senso nella cosa e la cosa nel senso.
3. Il linguaggio dualista e la clinica
Ciò che abbiamo a disposizione è un linguaggio intrinsecamente dualista e pratiche di scrittura dell’esperienza che a loro volta sono dualiste. La pratica medico scientifica, opposta alla psicologica, ma anche un pensiero fondamentalmente alfabetico, organizzato sulla partizione del senso (anima), rispetto a quella del suo supporto significante (corpo). Ma ciò a cui l’esperienza clinica ci costringe a guardare è la necessità di abbandonare la superstizione della cosa e la superstizione del significato!
Scrittura medico scientifica e scrittura psicologica non devono essere messe insieme in una forma di meticciato qualunque, devono piuttosto incontrarsi rigorosamente al fine di rinunciare alla loro personale idealizzazione e alle loro feticistiche superstizioni.
Anche cosi possiamo cominciare a intuire, dietro il mind-body problem, il chiasma che lega mente e corpo, non come due facce della stessa cosa, ma come due traiettorie in cui l’una finisce nell’altro, diventando l’altro. Continuamente.
3.1. Ma Il linguaggio comune è lontano dal dualismo! Crepacuore.
Immaginiamo cosa avviene durante una patologia per tradizione, ‘organica’, la patologia cardiovascolare. Si dice che essa abbia come tutte le malattie umane un’eziopatogenesi multipla e complessa e molti modi diversi di esprimersi.
Un gruppo di ricercatori italiani ha dimostrato che certe disfunzioni e lesioni cardiache (infarti del miocardio) avvengono in un regime di specifica disregolazione neurovegetativa, che riguarda il parasimpatico o vago, e accompagna la non regolazione degli affetti.
Il linguaggio comune ci aiuta a capirlo.
‘Crepacuore’ è un modo per dire che alterazioni del metabolismo biologico, disfunzioni, lesioni, disregolazioni affettive e fantasie s’intersecano fino a combaciare.
Il linguaggio comune è simultaneista (!), rispettando la verità.
Si tratta di un evento, o meglio un’esperienza (la depressiva/cardiovascolare), che poi le lingue specifiche traducono riducendola, alterandone il senso ricchissimo, e dividono, in fatti (patologici) corporei e in fenomeni (patologici) mentali, i quali non sono mai veramente divisi, né prima, né dopo, ma esistono per rimando, per differenza l’uno dell’altro.
Nell’espressione Crepacuore, che allude al dolore degli spasmi vascolari, dei buchi nel miocardio e dei pensieri neri, tutti assieme, -alla loro identicità disidentica-, le alterazioni del metabolismo, la sua disregolazione, e le idee con gli affetti dolorosi, appaiono intrecciati nel senso che sono continuamente reversibili, appunto, come in un nastro di Möbius.
Non è proprio più concepibile che la malattia mentale abbia solo una spiegazione organica, né che la malattia organica abbia solo una spiegazione mentale, né che esistano malattie ritenute solo mentali o solo organiche.
Oltre al fatto non trascurabile che l'idea di causa va ripensata!
4. Fisico e Psichico
Una certa cultura e un certo linguaggio portano a credere che sia reale solo ciò che in qualche modo cade sotto i cinque sensi e inducono ad allucinare una sorta di scissione profonda tra il cosiddetto mondo materiale e il mondo astratto. Pensiamo alle malattie. Sono fisiche se si possono vedere in qualche modo e misurare, psichiche se sono invisibili. Ma anche questa è una bolla di sapone, una trappola. La presenza o l’assenza di ‘materia’ dipende dal ‘livello’ al quale una ‘struttura’, un ‘sistema’ vengono osservati e dagli strumenti con cui li si osservano. Si tratta cioè sempre di una lettura. Oggi, per esempio, possiamo dire che una certa parte dello spettro autistico è legata a qualcosa di fisico, di neuro trasmettitoriale, perché ci siamo dotati di capacità molto sofisticate di lettura del cosiddetto mondo dei neuro trasmettitori, che prima non avevamo.
Non è mai una questione tutto-o-niente, fisico o psichico, concreto o astratto!
È semplicemente una questione che possiamo definire, in un rimando continuo, psichica e fisica, e viceversa, fisica e psichica; micro e macro, e viceversa, macro e micro. Dipende solo dal vertice di osservazione, o, meglio, dal momento di scorrimento del nastro di Möbius in cui ci situiamo. Lo vediamo bene nel libro (e nella collana di libri) Il Corpo e il Senso (Dopo la Psicosomatica).
Ha ragione il matematico Hofstadter quando scrive che noi tracciamo confini concettuali attorno alle entità che percepiamo con maggior facilità, e nel far questo ci ritagliamo su misura quella che ci sembra essere la realtà. Siamo piccoli miracoli di autoreferenza, crediamo in cose che si disintegrano appena ci mettiamo a cercarle, ma, quando non le cerchiamo, sono assolutamente reali.
4.1. Corporeo e mentale scorrono insieme.
Sono come testo e immagini nell’Emaki
Adesso, per immaginare la simultaneità, proviamo a pensare al rapporto di continuità che esiste nel rotolo del dipinto giapponese, l’Emaki, il quale unisce testo e immagini, ed è dipinto o stampato su un rotolo; immaginiamo il nostro corpo non come tridimensionale, ma come una sfera, e poi guardiamo la nostra immagine simmetrica e continua in uno specchio, cioè nel corpo non solo riflesso, ma allungato, stirato, appiattito, dentro tutta la superficie riflettente, come in un cartone animato. Vedremo allora noi stessi e la nostra immagine riflessa come un dato continuo, pur accorgendoci del cambiamento di livello, dello stato che mano a mano il corpo assume mentre si trasferisce nello specchio. È un modo nuovo di guardare alle ‘cose’, che tende anche a percepire il loro passaggio, il movimento, da un ordine (logico) a un altro, da un livello a un altro.
Emaki
5. Esterno e Interno
Siccome siamo abituati a pensare secondo vecchi e meno vecchi, ma pur sempre tradizionali, registri, per esempio, secondo un dualismo conoscitivo che insegue un monismo ontologico, continuiamo a credere in cose come la mente e il corpo, esistenti in assoluto, divisi, che vanno ricongiunti.
Il nostro pensiero non riesce facilmente a cambiare, non riflette abbastanza a fondo sul fatto che mente e corpo, interno e esterno, non sono due ‘cose’ in sé reali, già costituite, che dopo la presunta separazione, vanno riunite e d’altra parte, comunque si ovvi alla divisione, alla loro realtà indivisibile non si arriva mai.
In letteratura, troviamo spesso una confusione: da una parte si distingue, basando la psiche sul corpo e viceversa, secondo un percorso lineare, poi, si cerca di ovviare alla distinzione concependo psiche e corpo all’interno della cosiddetta complessità (Intesa come ridda di direzioni caotiche e di causalità multiple anche retroattive) infine si cerca di riunirli in una cosa unica, esistente in realtà. Con questi presupposti, sembra che il nostro pensiero continui a sbattere tra mai finiti dualismi, che rimandano a mai finiti monismi, e viceversa, come in una sala di pareti a specchio...
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