Conversazione sul Modello


Abstract

Il nostro discorso (fin qui) Dialogo immaginario tra noi e gli psiconeuroscienziati

Il nostro discorso (fin qui)
Dialogo immaginario tra noi e gli psiconeuroscienziati

 

Psiconeuroscienziati

Abbiamo riconosciuto sperimentalmente, grazie agli strumenti che impieghiamo nella diagnostica per immagini (permette di visualizzare il funzionamento del cervello durante un certo tipo di stimolazione), grazie al metodo anatomo-clinico e grazie alla fisiologia sperimentale, che l’Inconscio, il pilastro su cui si regge tutto l'impianto psicoanalitico, esiste proprio.

Abbiamo identificato le sedi delle funzioni mentali inconsce, precisi circuiti sinaptici corticali e sottocorticali. Il concetto di rimozione ha finalmente trovato una sua collocazione e una spiegazione.

Abbiamo identificato la centralità dell'emozione (fondante anche per la psicoanalisi), intesa come pattern unico di risposta con cui il cervello affronta qualsiasi stimolo, interno e esterno.

 

Le Doux:

Qualsiasi cosa accade nel nostro ambiente (mondo esterno), o dentro di noi (mondo interno), viene percepita, processata, elaborata nel nostro cervello attraverso le emozioni.

Vi spiego in che modo.

Con una prima risposta istantanea, breve, sottocorticale, filogeneticamente antica, che ci dice subito (senza che noi lo avvertiamo) se si tratta di uno stimolo che minaccia la nostra sopravvivenza. E con una seconda risposta, lenta: lo stesso stimolo compie un giro più lungo, dal talamo (una struttura sottocorticale) raggiunge la corteccia, dove viene elaborato in modo più complesso, coinvolgendo anche il database della memoria.

Adesso sappiamo che la maggior parte dell’attività mentale è assolutamente inconscia; solo una piccolissima parte riguarda la coscienza.

Quali ricadute hanno queste scoperte neuroscientifiche sulla pratica terapeutica?

Le ricadute non possono che essere positive. L’apertura reciproca psicoanalisi
neuroscienze aiuta i pazienti a non vedere più una netta contrapposizione fra la terapia della parola e l'assunzione dei farmaci. Le due discipline sono due facce della stessa medaglia, così come lo sono mente e corpo.

Questa conoscenza integrata della mente umana che noi proponiamo va a vantaggio della psicoterapia stessa, che si arricchisce di spunti per fronteggiare questioni da sempre problematiche, già segnalate da Freud.

Noi: di quali spunti si tratta?

Solms:

La neuropsicanalisi si propone di integrare le due discipline per superare il tradizionale
dualismo tra il somatico e lo psichico e giungere a una nuova e più esaustiva comprensione delle funzioni mentali e dei disturbi psichici.

Infatti, questo dualismo ha sempre portato a una netta contrapposizione che ostacola la comprensione dell’uomo nella sua integrità. Io sono stato e continuo a essere il principale promotore di questa integrazione e quindi della neuropsicanalisi.

Da un punto di vista pratico, da un lato, eseguo un esame neuro psicologico, il più
dettagliato possibile, su pazienti con una lesione neurologica focale, dall’altro, sottopongo questi stessi pazienti a una psicoanalisi classica.

Così indago direttamente sul piano empirico le possibili correlazioni tra i meccanismi del cervello e quelli della psiche.

Noi:

Non siamo per nulla d’accordo e proviamo a dire perché.
Se muoviamo dalla distinzione aprioristica del corpo e della mente, vale a dire, se non la mettiamo in discussione, così come se corpo e mente esistessero davvero là nel mondo esterno, fuori di noi; se evitiamo cioè di indagarne genealogicamente l’origine, partendo insomma da due oggetti distinti, e di cui si assume la distinzione, non è proprio possibile scovare un anello di congiunzione in cui il dualismo non si trovi riprodotto, secondo un regresso all’infinito.

In altre parole, in ogni anello di congiunzione (tra psiche e cervello, per esempio) che riusciamo a scovare, in primis dovremo pur sempre spiegare come le due facce dello psichico e del corporeo stiano insieme...

...Ripetiamo che nel dibattito corrente si assume apoditticamente che esistano dei corpi, ovviamente biologici e delle menti, ovviamente psicologiche. Questi corpi e queste menti esisterebbero realmente, sarebbero cose del mondo, degli enti, in sé e per sé, del tutto indipendenti dalle pratiche di scrittura scientifiche che li indagano (grossolanamente, neuroscienze e psicologia). Menti e corpi sarebbero insomma dei fatti!

Mentre menti e corpi non sono affatto dei fatti, delle cose in sé. Fuori dalle pratiche, cioè dalle discipline che li studiano e li nominano, non esistono!

Solms:

Rispondete come se foste minacciati. Come se non credeste nelle scienze. Invece, deve essere molto gratificante (e non fonte di minaccia! ) per gli psicoanalisti scoprire che possiamo erigere il nostro edificio a partire dalle fondamenta gettate dal pensiero freudiano, al posto di buttare tutto alle ortiche e dover ricominciare daccapo!

È stimolante Identificare i punti deboli della teoria Freudiana mentre integriamo e rivediamo il suo lavoro, in fondo non facciamo che completare la sua opera.

Coro (degli psico-neuroscienziati):

La psicoterapia viene confermata e non confutata nella sua efficacia dall'apporto delle neuroscienze!

Esempio. le neuroscienze ci permettono di visualizzare i mutamenti strutturali e permanenti in alcune aree del cervello, prodotti dalla psicoterapia... L'esperienza soggettiva modifica il funzionamento cerebrale e mentale, lo abbiamo visto e dimostrato con i nostri strumenti. Adesso si tratta di continuare a lavorare nella direzione di un raffinamento continuo della tecnica, in un'ottica di apertura a tutte le aree del sapere. La vocazione umanistica della psicoanalisi, la sua vicinanza all'arte, alla filosofia, alla poesia, resta inalterata, anche e nonostante il dialogo con le scienze.

Noi: (Possibile non capirsi così?)

Siete sicuri che queste vostre visualizzazioni e dimostrazioni delle modificazioni (corporee) siano congrue?

Coro:

Non bisogna aver paura di perdere la propria identità, pena un irrigidimento sterile e tristemente autoreferenziale!

Noi:

Quale straordinario effetto retorico, quale potente clima suggestivo hanno queste vostre tesi! (“Confermano la psicoanalisi! Finalmente il gap mente/ambiente/corpo è colmato!”)

Noi:

Voi dite che noi, critici di questa visione psico-neuroscientifica, siamo degli oscurantisti, antiscientisti.

Niente di più falso.

Noi siamo totalmente affascinati dall’esplosione delle scoperte scientifiche, soprattutto di queste ultime decadi. Disegnano orizzonti di una complessità inimmaginabile; ci danno la possibilità di accedere al mondo e all’universo; di curarci con una medicina dotata di strumenti sempre più sofisticati e puntuali; di vederci per quello che siamo, granelli di polvere (leggi: particelle) in vorticoso movimento “nell’infinito cielo e mondi”.

Ripetiamo che la nostra non è una critica alle scienze (!!), ma alla vostra visione
neuropsicoanalitica.

Per capire il senso di questa critica, seguiamo insieme il discorso del filosofo Carlo Sini:

***Come abbiamo detto più volte, la maggior parte degli studiosi e l’uomo comune non cercano mai di comprendere nell'unico modo sensato (studiando cioè la sua genesi) il fatto che nel mondo vi siano corpi e menti e che essi abbiano una certa forma e non un'altra.

Non indagano mai se, dietro le parole 'corpo' e 'mente', vi siano realmente 'cose' dotate di una esistenza indipendente dall'orizzonte di senso che le designa. Viceversa, senza riflettere, aderiscono alle neuroscienze, o alle psicologie, o alla psicoanalisi, che lo danno per scontato.

Noi, invece, siamo psicoanalisti che prendono posizione rispetto alla cosiddetta oggettività scientifica e alla scelta oggi imperante di appoggiarsi alle neuroscienze e ai loro risultati, per vivere.

A noi risulta insensata la resa a un assurdo riduzionismo biologico (così come insensato e vacuo è l’appello alla trascendenza spiritualistica), secondo il perdurante abbaglio del vecchio dualismo cartesiano.

Crediamo che gli oggetti trovati/costruiti dagli scienziati (le loro meravigliose scoperte) non siano l’equivalente di quello che c’è nel mondo, ma il risultato teorico di ciò che con la scienza si è fatto e prodotto nel mondo: mappe che orientano il nostro pensiero e le nostre azioni. Formule del sapere (da sempre): non possiamo dimenticarci della loro
nascita operativa, della loro reale origine.

Neuroscienze e psicoanalisi sono dunque due lingue. In quanto lingue, non possono nė avvalorarsi nė confutarsi.

Crediamo che il grande fraintendimento, lo slittamento di senso che si è prodotto, stia nel fatto che si confondono le cose e soprattutto le si confondono con le parole. Questa confusione induce a pensare che le parole siano come vetri trasparenti che lasciano vedere le cose che nominano secondo un’idea di realtà straordinariamente ingenua.

Noi non siamo antiscientisti oscurantisti. Siamo semplicemente lontani dall'idea di poter scoprire una 'realtà in sé, (la famosa verità oggettiva), esistente per davvero nel mondo.
Il corpo, la mente, l’anima: non ci sono (“in assoluto”) queste cose!

Di fronte a chi (scienziato, filosofo, teologò, uomo comune) pretenda di interrogare così (Che è corpo? Che è mente? Che rapporto c’è tra mente e corpo?...), rispondiamo che si
deve fare innanzitutto un passo indietro.
Per cercare di comprendere la genealogia dei nostri modi di tradurre l'esperienza nelle parole del senso comune e nelle teorie scientifiche.

Anche la scienza moderna continua a domandare in questo stesso modo, ma, siccome, almeno a partire da Bacone, non si fida delle parole, supera di fatto la metafisica, inaugurando un nuovo tipo di scrittura delle cose. Cioè, da Galileo, la scrittura matematica.
Questo però non lo sa, non sa che i suoi “oggetti” sono il prodotto della scrittura matematica e non realtà in sé della natura, sicché, quando parla, lo scienziato è ancora ingenuamente ideologico e metafisico.

Quando finalmente ci rendiamo conto di quanto ingenua sia l’idea di una “realtà in sé”, arriviamo alla conclusione che la realtà é qualcosa che scaturisce unicamente dall'incontro con noi, con gì strumenti di cui ci dotiamo, con i nostri modelli teorici, con la lingua specifica che stiamo usando.
Cioè, con le nostre pratiche, che sono semplicemente gli infiniti modi che abbiamo di tradurre l'esperienza. Crediamo che, fuori da questo incontro, non esista alcuna realtà, alcuna verità oggettiva.

Come è successo lo slittamento di senso di cui stiamo parlando? Come è nata questa confusione?

È successo che ci siamo progressivamente assuefatti all’uso specialistico degli strumenti tecnici e esosomatici di certe scienze. Quest’uso ha progressivamente cancellato e continua a cancellare la consapevolezza dell’operazione tecnica impiegata, col risultato del grave fraintendimento circa la verità del suo oggetto.

Questo grave fraintendimento era già in cammino da quando gli esseri umani, grazie allo strumento del linguaggio, sono stati fortemente indotti a confondere il lavoro delle parole con la realtà delle cose.

La pratica scientifica moderna costituisce in proposito l’ultimo. grandioso slittamento di senso.

Come abbiamo fatto a non accorgerci che sono proprio le particolarità “tecniche” e “materiali”dello strumento (esosomatico) che le scienze della natura, volta a volta, usano, a produrre la corrispettiva “visione” scientifica delle cose, per esempio il famoso dato sensoriale...?
Scambiano per realtà il prodotto del lavoro di una moltitudine di pratiche intrecciate.

Bisogna rimuovere lo scotoma

Come abbiamo fatto a non accorgerci che da questo meraviglioso e possente lavoro discende il patrimonio di conoscenze e costruzioni che caratterizzano i procedimenti della scienza contemporanea? Una scienza che, in questo modo, da vita alla costruzione di un abito universale del discorso cosiddetto “oggettivo”, il quale altro non è che uno sterminato processo di costruzione della verità scientifica del mondo...

Non possiamo più continuare a essere così ingenui. ***

Noi 🔁:

Non è mai una questione tutto-o-niente, fisico o psichico, concreto o astratto.
È semplicemente una questione che possiamo definire, in un rimando continuo, psichica e fisica, e viceversa, fisica e psichica; micro e macro, e viceversa, macro e micro. Dipende solo dal vertice di osservazione, o, meglio, dal  momento di scorrimento del nastro di Möbius in cui ci situiamo. Lo vediamo bene nel libro
“Il Corpo e il Senso /Dopo la Psicosomatica”. (Peregrini, 2019)


Ricordiamo che il nastro di Möbius sembra avere due facce; mentre le guardiamo scomparire da un lato, le vediamo riapparire dall'altro. Quando le osserviamo così, è quasi impossibile distinguerle: cessano di essere cose ontologicamente esistenti, che, secondo le mode, vengono definite come due facce di una stessa medaglia, o altro, per diventare movimenti, traiettorie, che finiscono l'uno nell'altro, continuamente. Non possiamo pensare
più che mente e corpo siano divisi e vadano riuniti cercando le correlazioni tra l'uno e l'altro, né possiamo pensare che, se ci mettiamo a ragionare in termini di sistemi (mentali e corporei), il problema viene risolto. Quando smettiamo di cercare correlazioni tra due enti e capiamo che la mente rimanda continuamente al corpo e viceversa e i due 'esistono' per differenza l'uno dell'altra, capiamo anche di cosa si tratta.

Noi e l’Inconscio:

La psicoanalisi ha come oggetto di ricerca l’Inconscio. L’Inconscio per ovvie ragioni non può essere situato anatomicamente in qualche luogo del cervello o in qualche processo cerebrale. Dovrebbe fare un salto logico assurdo.

L’inconscio (strutturale) come INFINITO

Parliamo di un concetto di Infinito che non ci fa precipitare affatto nell’abisso del trascendente. Intendiamo come “infinitamente grande”, non nella forma del crescente oltre ogni limite, o in quella strettamente connessa alla prima, di successione infinita convergente, ma in termini matematici.
Un infinito basato sul concetto di corrispondenza biunivoca tra l’insieme e una sua parte propria.

Voci dalla Metafisica;

Nell’esplorare l'infinito, l'uomo si imbatte con l'indivisibile e l’impensabile.
Per afferrare questa realtà che è aliena al pensare “normale” (Il quale, per sua natura, afferra solo ciò che è divisibile concettualmente), il pensare escogita un metodo nuovo: concepisce la realtà come infinita, quindi, infinitamente pensabile.
Ma questa realtà indivisibile non si lascia afferrare, lo si vede nei paradossi.
Il pensare “normale”, al confronto, diventa un “pensicchiare”.

Dialogo immaginario tra noi e lo psicoanalista cileno Matte Blanco

L’Inconscio ha una logica differente da quella asimmetrica, aristotelica, propria del pensiero cosciente. Si chiama logica simmetrica. È un po’ come quella del sogno, ci porta nel regno di “Alice nel paese delle meraviglie”, dove tutto è sovvertito e possibile.

In concreto, nei prodotti della psiche umana, si presentano sempre dei compromessi fra queste due logiche, che danno vita alla cosiddetta bi-logica.

Le due logiche allo stato puro sono solo concetti limite. Man mano che si procede verso l'inconscio profondo la logica simmetrica (il caos) in proporzione prevale sempre di più....

Freud e il matematico Cantor

Visti attraverso la bi-logica, Freud e Cantor si sarebbero trovati, senza esserne consapevoli, dinanzi allo stesso compito: “tradurre” o “dispiegare” in qualche modo con il pensiero, (significa anche porre confini, de-finire, raccogliere in un tutto o insieme e, quindi, necessariamente, entro limiti finiti), una realtà che in sé sarebbe assolutamente refrattaria a ogni delimitazione e a ogni relazione o ordinamento. Per “delimitare” questa realtà “illimitata” e “omogenea”, il pensiero paga un prezzo. Nascono i “paradossi bi-logici”, nient’altro che l’espressione di questa doppia natura del mondo e dell'essere.

D'altra parte porre un limite (che è sempre finito) a questa realtà darebbe l'unica possibilità per riconoscerle un fondamento ontologico...

Noi: quale fondamento ontologico?

Ancora Noi:
Muoviamoci via dalla Metafisica.
(Il vero cambio di passo)

Si alla bi-logica, però con una grande diversità rispetto ai metafisici: non esiste alcun oggetto unico, indivisibile, impensabile, fuori di noi, a cui tendere.
È verissimo che noi, con il nostro pensiero asimmetrico (aristotelico), un pensiero che distingue mettendo in successione temporale, non facciamo che cercare di “tradurre” il pensiero simmetrico, l’Inconscio, l’infinito. Così facendo, ci imbattiamo sempre in qualcosa che paralizza inevitabilmente i nostri discorsi e paralizza il gesto stesso della rappresentazione e dell’interpretazione: vaghiamo nell’ indicibile.
Ecco perché dobbiamo riprendere il discorso ogni volta daccapo.
C’è sempre un inciampo.
Non possiamo mai dire il tutto dell’esperienza.

Con Matte Blanco;
L’infinito diventa in questo modo anche l’Inconscio della matematica, nel senso di espressione del fondamento impensabile a cui stanno come sospese le costruzioni finite e le operazioni discrete della ragione da cui nascono pure gli oggetti matematici...

Noi:

Non c'è dubbio che Matte Blanco con la sua ricerca sull'infinito ci abbia offerto una strada straordinaria e lo ha fatto ravvisando appunto una logica assai singolare, che, intrecciata con la logica che abitualmente caratterizza il pensiero scientifico, può arrivare a fondare una nuova matematica - quella che usava Bion quando parlava di matematica del “Being-at-one”, per trattare le passioni umane.

Una matematica bi-logica in cui l'infinito e l'infinitesimo perdono ogni loro stranezza e paradossalità e trovano una giustificazione.

Arriviamo a capire, alla fine di questo percorso, che la matematica e la psicoanalisi, come scienza dell' Inconscio, riscoprono di avere in comune la stessa “aporia fondatrice”, che, nelle parole di René Thom, è di “riconciliare l'intuizione immediata del continuo con la generatività necessariamente discreta delle operazioni”.
Vuol dire, per noi, riconciliare il modo indivisibile che si esprime nell'Inconscio e nell'Infinito con le operazioni necessariamente finite e discrete....

Bocchiola (Singolarità)

Se l’inconscio è l’oggetto della psicoanalisi e se questo inconscio non è il retrobottega psicologico della coscienza, ma quell’inciampo che in nessun modo è riducibile all’antropologia metafisica delle neuroscienze e della psicologia; se l’inconscio è quella dimensione che interrompe l’ordine dei discorsi, che paralizza il gesto stesso dell’interpretazione e della rappresentazione (e non come suo limite esterno, si badi bene, ma come sua frattura interna, da questo punto di vista l’esempio dell’ombelico del sogno è precisissimo), allora il suo altro nome è quello della singolarità.

Se l’ordine della parola è quello del giudizio, come è nella scrittura alfabetica almeno, se questo ordine assume l’esperienza nel registro dell’universale (dobbiamo ricordare che la parola alfabetica, lungi dal rendere presente la cosa assente, in verità rende assente la cosa presente, trapassandola in vista del suo concetto e del suo significato), allora l’inconscio è il nome di ciò che nell’esperienza resiste a questa operazione, è il nome di ciò che non può essere detto nel giudizio, che sfugge all’elaborazione secondaria impedendole di “dire il tutto” dell’esperienza.

Ci servirebbe a questo punto un’epistemologia della singolarità, che non può essere con ogni evidenza quella universalistica delle scienze positive, a cui noi analisti sempre più spesso guardiamo, vuoi per ingenuità, vuoi per pregiudizio.

Ci serve comunque sapere che non siamo affatto mai davanti a una supposta verità del mondo esterno da scandagliare e cercare di scoprire, ma che qualunque natura “oggettiva” noi attribuiamo ai fatti e alla nostra ricerca, in realtà, quei fatti e quella specifica ricerca dell’oggetto sono semplicemente un’installazione derivante dal poderoso lavoro umano in tutte le sue diramazioni, un effetto della sua coltura e cultura, delle sue mani e del suo linguaggio, cioè delle infinite “macchine” che vi hanno luogo.

Ramella (Il Modello):

Noi, infatti, a differenza di Matte Blanco, non pensiamo che il modello dell’oggetto unico indivisibile realmente esistente sia minimamente compatibile con il nostro modello teorico, il cui pittogramma è il nastro di Möbius (o la bottiglia di klein).

Siamo in un ambito teorico clinico che implica un modello complesso della temporalità che non può essere ricondotto all’ unicità di un oggetto originario, proprio perché corpo e mente nella (nostra) clinica sono intercambiabili, intervengono entrambi, a volte, simultaneamente, nel processo di guarigione, rimandando sempre l’uno all’altro.

Tutto questo implica un procedere clinico che non è basato affatto su una logica deduttiva, in cui i fenomeni vengono ricondotti a un modello teorico prestabilito, bensì su una logica abduttiva, che consente di costruire un modello “singolare”.

Una sorta di opera di alta sartoria su misura, nella quale l’universalità è garantita da una teoria nella quale l’eccezione è la regola e la contingenza una necessità.
In caso contrario, rimarremmo sempre imprigionati in Aristotele e nella psicologia.
Ma noi non siamo psicologi, siamo psicoanalisti!

Peregrini (Il Modello):
Per comprendere adeguatamente questa trasformazione, occorre una propedeutica del pensiero, che parte dalla necessità di oltrepassare la "conoscenza a impianto", tradizionale, illuministica, categoriale, basata sul principio “post hoc erga propter hoc”, per avviarsi su una strada di conoscenza ad essa antinomica: "a reticolo", dimensionale, anzi, pluri-dimensionale, tracciata da “post hoc, erga ante hoc”.

Una conoscenza in cui scompare la distinzione fra oggetto osservato e osservatore (soggetto e oggetto non si trovano proprio più, a meno di non scriverli con la nostra lingua alfabetica, dividente) e dove il percipiente modifica il percepito e viceversa (non nel senso più banale della vulgata), e dove la relatività, non l'assiomaticità; la verosimiglianza, non la verità, costituiscono il codice del conoscere (Ancona 1999).

Pensiamo al pensiero rizomatico così come lo intendono i filosofi Deleuze e Guattari (“Millepiani”): ha fondamentalmente il carattere di consentire una circolazione aperta fra i concetti, di favorire percorsi differenziati e connessioni inedite.

Il senso tradizionale dell'univocità del significato, così come la produzione dialettica deterministica dei concetti sfumerebbe, lasciando il posto alla parziale non-relazione del pensiero aperto.

La psicoanalisi da un certo momento in poi ha di fatto introdotto questa nuova possibilità di conoscenza, sostituendo in grande parte del suo procedere il gioco della induzione/deduzione con l’abduzione, e indicando le tracce da seguire per arrivare alla meta da conoscere: non certo i fatti di rilievo, nitidi, processabili secondo il consueto procedimento...

La psicoanalisi classica invece è rimasta ancora in parte intrappolata nelle maglie della conoscenza a impianto, ancorata cioè a quel procedere "ocnofilico" (Balint, 1937) che le ha impedito di ampliare il mondo interno dei suoi pazienti alla sua natura relazionale multi-personale, "filobatica"...

Anche Bion nella fase kleiniana era rimasto impigliato in queste remore della intellettualizzazione, ma poi aveva lasciato la logica aristotelico-kantiana per una nuova logica, che potremmo chiamare platonica-matteblanchiana.

Secondo questa logica l'essenza del lavoro psicoanalitico consiste nel cogliere intuitivamente la verità del soggetto in analisi, e nel trasformarsi con lui e in lui.

Un’importante corrente teorica della psicoanalisi dice che tutto questo genera un Campo...

L’osservazione più importante che mi viene, è che mi trovo in un Campo da sempre.

Il Campo cioè non si genera per giustapposizione di elementi distinti (per esempio l’analista e il paziente insieme), ma pre-esiste loro.

L’analisi diventa il “laboratorio” per eccellenza in cui si evidenzia e si descrive (e quindi, a partire dalla descrizione, appare vero) ciò che non può che essere così, perché l’intreccio di corpi-menti- ambiente, c’è da sempre.

Nel senso che Il Campo non si crea, c’è, e noi, entrandoci, lo possiamo descrivere da dentro: descrivendolo, lo rendiamo presente, vero; da questo punto di vista è come se lo creassimo..

Sappiamo con Bion che, per realizzare tutto questo, l'analista “deve” porsi in uno stato quanto più possibile vicino al sogno, lo stato di rêverie, in cui ascolta il discorso del paziente, e gli effetti di questo discorso, e l’eco nell’analista, e la sua “risposta”, e l’ascolto dell’ascolto..., come se si stesse sognando, abitati da un’altra logica, dove le traiettorie hanno in corpo l’infinito...

Sentire e vedere qualcosa e pensare qualcos’altro: questo è un atto abduttivo della mente.
Vuol dire che lo sguardo abduttivo coglie in ogni fatto il suo possibile carattere sorprendente, il passaggio che permette allo sguardo di intravedere il possibile salto verso una conoscenza inedita...

E' difficile ma non impossibile progettare il proprio futuro basandosi sul "cono di plausibilità", che dà una traccia sulle ipotesi di futuro che ognuno di noi può costruire.

Si, ci troviamo sempre in un ingorgo, in un avvicendamento rapidissimo di verità occasionali che vogliono ogni volta diventare assolute.

Ma abbiamo sfatato la famosa verità assoluta.

Noi (considerazioni sul Modello):

Abbiamo avuto a lungo preoccupazioni sulla pratica della psicoanalisi e sul fatto che le teorie alla base siano diventate una vera e propria torre di Babele.
Abbiamo molteplici punti di vista in cui tutto è accettato come "psicoanalisi".

Il nostro campo in generale sta andando alla deriva nel discorso sociologico (troppo); nei nostri incontri nazionali e internazionali c'è pochissimo spazio per le discussioni cliniche... oppure, a volte, ci sono così tante discussioni cliniche che avremmo bisogno di avere punti di repere...

Noi: Il declino della psicoanalisi e tutta questa confusione sono una della ragioni principali della caccia alla scientificità?
È possibile un’idea di scientificità diversa?

L’ostacolo maggiore all’impiego della terapia psicodinamica e della psicoanalisi è sicuramente la durata del trattamento, per cui vengono preferiti trattamenti “brevi” come la terapia cognitivo comportamentale (CBT), considerata spesso come il gold standard.
I protocolli assicurativi in molti paesi fanno il resto: pensiamo agli USA e al Mental Health Party Act, la legge che obbliga i limiti massimi di copertura assicurativa per i disturbi mentali.

Peregrini:
il compito etico moderno

Una nuova alleanza, che, per la vita stessa della ricerca, deve sostituire l’antica “unità”, il vecchio “Dio”, con una nuova “natura”, copernicana, bruniana, spinoziana, grazie a una nuova “arte della vita”.
Sino a che il lavoro scientifico non troverà la via per una integrazione così fatta, la superstizione dualistica e la prepotenza ideologica continueranno ad assediare le nostre pratiche conoscitive e le loro applicazioni sociali, economiche, politiche.

Noi:
è possibile ritrovare il senso di questa nostra disciplina, oggi intesa come un lusso, poiché non rientra nelle logiche del mercato del lavoro odierno?

Ramella:

Quali sono le basi del ragionamento logico sottostanti il processo di elaborazione e applicazione della cura nel modello dominante attualmente?

Sembrano basi nate dall’ idea ingenua (scientificamente falsa) che la natura dell’uomo derivi dalla sua conformazione fisica e psicologica interna.
Questa doppia conformazione ne giustificherebbe in toto le manifestazioni morbose, secondo una sorta di manuale costruito su una grande omogeneizzazione, dove le differenze tra i singoli e il peso della complessità che ne deriva, sfumano quasi totalmente.

Tale (falso) presupposto ha come conseguenza un modello epistemologico e logico che diventa una sorta di teologia scientifica, il cui miraggio finale pare quello di arrivare a scoperte definitive, che permettano una definizione certa, una sorta di inquadramento permanente di “ciò che è uomo”.

Tutto ciò avviene perché in qualche modo si finisce a eludere l’universo della singolarità e perciò a ignorare “ciò che è cura”.

Vediamo più da vicino questo modello, che è sovrapponibile in medicina e in psicoanalisi, nonostante la notevole diversità tra le due discipline.

Sia l’ambito medico, sia l’ambito psicologico, infatti, vengono inseriti in modelli logico- epistemologici che tendono a rendere omologabile ogni approccio all’umano.

Sappiamo bene che il progresso della medicina e in particolare delle neuroscienze, frutto di raffinate e efficaci ricerche sostenute ovviamente da potenti investimenti economico/ intellettuali, ha portato a risultati eccezionali rispetto a un “certo tipo conoscenza” dei fenomeni patologici, cosiddetti fisici e mentali.

Il problema vero è che queste scoperte vengono poi utilizzate in maniera assiomatica e generalizzante.

Il danno dunque è tutto qui, nell’utilizzo superficiale, approssimativo, e forse perfino in mala fede, delle scoperte scientifiche.

Per capire meglio quali modelli sottostanno alle ricerche in questione, e quali contraddizioni li contrassegnano, soprattutto nell’ambito terapeutico, porto alcuni esempi.

I danni più rilevanti della infezione da sars cov 2 sono determinati da una reazione infiammatoria abnorme che è una tempesta delle citochine, o ipercitochinemia, mediata dal sistema immunitario.

Come ha dimostrato la ricerca, il sistema immunitario ha grosse variabilità individuali e, soprattutto, ha forti diversità sulla base delle differenze di genere.

Perché allora i protocolli di cura sono identici nei maschi e nelle femmine, nonostante il sistema immunitario funzioni in modo ben differente nei due?

Si tratta infatti di un sistema, l’immunitario, ben più modulabile nella donna (pensiamo solo a quanto essa si deve adattare alla presenza di "un corpo estraneo" durante la gravidanza), e molto più stabile, più fisso, per così dire, nell’ uomo.

Perché allora non prendere in considerazione -visto che è scientificamente possibile-, la variabilità del sistema immunitario di ogni individuo all’interno dello stesso genere, per impostare la terapia?

Il sistema di cura con protocolli standardizzati fatti sulla base di un modello piattamente naturalistico di “tutto ciò”, non ne tiene affatto conto!

Le stesse identiche osservazioni si possono fare sull’ipotesi dopaminergica dell'insorgenza del delirio, su cui sono basati i protocolli terapeutici delle psicosi.

Si tratta di modelli di cura che non tengono affatto conto delle variabilità di genere, della storia personale, e delle reti di interazioni familiari e sociali in cui si inserisce l'insorgenza del delirio.

Sia l'antropologia sia l'etologia hanno evidenziato. inoltre, l'importanza delle influenze di ordine simbolico e istituzionale in cui l uomo cresce, nella costituzione dell’ individuo.

Conosciamo per esempio il ruolo dei significanti vuoti (mana) nella decostruzione delle rigidità linguistiche pesantemente deterministiche, cosi tipiche del modello in voga...

(Da Wikipedia, 2023: significanti flottanti o significanti vuoti sono concetti linguistici in cui i significanti non hanno precisi significati di riferimento, cioè sono parole che non hanno corrispondenza con un oggetto preciso. Claude Lévi-Strauss ha utilizzato per primo questo termine a proposito di parole come mana (sostanza di cui è permeato ciò che è magico), o oomph (termine dello slang statunitense che indica attrattività sessuale) "per rappresentare una imprecisata quantità di significazione, in sé vuoto di significato e quindi adatto ad essere caricato di qualunque significato". Un significante fluttuante, ovvero una parola con "valore simbolico zero", trova la sua necessità nel "permettere al pensiero simbolico di operare nonostante la contraddizione ad esso inerente"...).

Lo stesso accade in psicoanalisi:
lo psicoanalista cerca, troppo spesso, nella narrazione del paziente, gli aspetti che convalidano le sue teorie, attuando vere e proprie scotomizzazioni di dinamiche rilevanti proprie del funzionamento mentale individuale.

Non da ultimo, (lupus in fabula), in anni recenti ha preso enormemente piede anche la certezza data dalla conferma degli aspetti psicologici nei fatti delle neuroscienze... (La mentecervello...la coscienza nel tronco dell’encefalo...e altri strani modi di pensare e di dire che giustappongono cose e concetti in modo a dir poco assai arbitrario.

Last but not least, le forme di conferma neuroscientifica dei concetti psicoanalitici non hanno nulla a che vedere con i bisogni di cura del paziente!

Perché il paziente si giova della condivisione e pure talora della accettazione da parte dell’analista del suo (del paziente) modo di leggersi/interpretarsi.
Mentre mal digerisce, o tutt’al più accetta supinamente, a volte dolorosamente, interpretazioni che risultano astrattamente generalizzanti, peggio ancora confermate da un "supposto sapere" psiconeuroscientifico.

Nella maggior parte dei casi, infatti, nonostante l’apparente semplificazione e la sbandierata certezza dei dati cosiddetti “organici”, questo modello, che in fondo cerca solo di convalidare se stesso, spesso è implicito e poco pensato, blocca ogni potenziale di ulteriore trasformazione, (certamente più impegnativa), vale a dire il vero senso dell’analisi: Tendere verso “O” (Bion). Il dubbio assoluto.

Chiediamoci, per esempio, che effetto può fare all’analista sapere che alcuni suoi momenti teorici sono confermati da ricerche neuroscientifiche.
Chiediamoci cosa se ne fa l’analista di queste “certezze”...

Si potrebbe dire, giocando un po’ con i modelli matematici, che la cura "main stream" dei disturbi da cui è affetto l’uomo, è costruita su una "superficie orientabile".

All’interno di questa superficie starebbero le rilevanti scoperte scientifiche, neuropsicologiche, mentre l’esterno sarebbe rappresentato dalla molteplicità dei sintomi, i quali non entrano in una relazione singolare (unica), umanizzante, fra loro, ma restano confinati, irrelati, cosi come avviene nell'esempio classico di superficie orientabile, la sfera.

L’interno della sfera infatti non è in comunicazione col suo esterno, il limite sintomatologico quindi non entra in relazione con il volume interno; un rapporto “singolare”, specifico, umanizzante, risulta impossibile, anche se cercato.
Troppa conoscenza precostituita, troppe “certezze” come retrobottega dei classici strumenti psicoanalitici, troppa superficialità nell’uso della ormai famosissima empatia, sigillano la superficie della sfera.

Ne consegue che l'esterno non trova né vero sostegno né vere convalide nell’interno, che gli è sovrapposto senza alcuna possibilità di scambio.

Un sistema così produce l’effetto che il pensiero clinico (ma lo si può davvero chiamare “pensiero”?) si basi esclusivamente su una logica deduttiva, per la quale i fatti hanno il solo ruolo di convalidare la teoria, il che a sua volta implica una riduzione della variabilità sintomatica secondo un’unica legge precostituita.

La variabilità sintomatica e morbosa viene, per così dire, sostanzializzata nella cosiddetta materia.

Riflettiamo un momento seriamente sulla neuro psicoanalisi.

Non ci rendiamo conto che in questo modo Il funzionamento mentale, finalmente "sostanzializzato” attraverso il “brain imaging”, si trova sovrapposto in maniera apodittica alla molteplicità sintomatologica?!

La fine del pensiero clinico, cosi come era inteso all'origine della medicina e della semiotica medica, trova la sua ragione nella apparente necessità (che a mio parere diventa antiterapeutica) di scovare nel paziente i fatti che confermano la teoria precostituita nella testa del terapeuta.

È la “materia” a custodire la veridicità di questi fatti!!!

Non voglio per niente sminuire, come accade, a semplici pratiche soggettive anche le scoperte scientifiche.
Tutt’altro.

Voglio proporre un modello teorico che metta in rapporto tali scoperte, frutto indubbiamente anche delle pratiche soggettive dei ricercatori, con le variabilità individuali.

Per questo, rovescio il problema.

Voglio ritrovare l'universale non nella enfatizzazione (in fondo, di stampo metafisico) del particolare della scoperta scientifica, bensì nella singolarità dell'individuo, anche e soprattutto grazie a ciò che la scienza scopre.

Vediamo come.

Il modello che proponiamo è basato sull'applicazione clinica del -piano non orientabile-, in particolare il nastro di Möbius, in cui avviene un continuo interscambio tra interno ed esterno, tra sintomo e realtà patologica. tale per cui non è solo la realtà materiale a determinare il sintomo, ma è l’osservazione clinica del sintomo stesso a creare la realtà (un pò sulla base semplificata della profezia che si auto avvera).
Così come, si potrebbe dire, l'osservazione del " mollusco" quantistico delle fluttuazioni miscoscopiche crea la realtà stessa.
   Cito da MOCCHI:
   “Va da sé che il gesto di chi adotta la visuale della psicoanalisi, della filosofia, della poesia, prevede sì un salto in avanti, accoglie con gratitudine le scoperte della scienza, ma a una condizione, che il processo induttivo, il salto dalla parte al tutto, sia integrato e illuminato da un lentissimo cammino a ritroso, da una disamina per quanto possibile
completa dei suoi passaggi.

Se lo scopo dell’impresa è alleviare la sofferenza “psichica” di una persona, il salto non può avere una direzione generica, affidarsi a un criterio statistico. Dev’essere guidato fin dal principio da quest’idea: che il tutto verso cui si salta è «quel singolo» (Hin Enkelte) e nessun altro, e che la progettazione del suo futuro (sintesi) sarà tanto più efficace quanto più la ricostruzione del suo passato (analisi) saprà scendere fino ai minimi dettagli, senza trascurarne o saltarne uno.

In questa prospettiva il nastro di Möbius rivela altre direzioni e dinamiche, a integrazione di quelle messe in luce dalla definizione iniziale. È vero infatti che il nastro ha una faccia sola, ma a un certo punto essa ha una torsione, un rovesciamento che ne sdoppia e inverte il senso; grazie a quel singolo punto di svolta la continuità del movimento può scandirsi, oltre che nel generico andare e venire che appare alla scienza, in altri tre modi: 1. come un crescere e diminuire, rispetto a quel punto, della distanza e della velocità, cioè dello spazio in rapporto al tempo, o della quantità rispetto alla qualità; 2. come un movimento di trasformazione o passaggio, attraverso il punto, da un opposto all’altro; 3. da ultimo come l’aprirsi di queste e altre infinite differenze: apertura o soglia che coincide col punto stesso, con la sua unica e indefinibile identità.

Secondo questo modello, verrebbe meno anche nella clinica psicoanalitica l'illusione del concetto di neutralità oggettivante di chi osserva ed anche il concetto di verità come adeguazione dell'intelletto alla cosa.

Si tratterebbe allora, secondo una logica abduttiva, di arrivare alla costruzione “singolare”, appunto, di una legge che spieghi i fatti, al posto della logica del fatto che convalida la teoria...“(Fine citazione)

Riprendo la frase finale di Mocchi: “si tratterebbe, secondo una logica *abduttiva*, di arrivare alla costruzione “singolare” di una legge che spieghi i fatti, al posto della logica del fatto che convalida la legge... “

Quindi sfumerebbe ogni logica deduttiva, in un’ottica di pura condivisione e co- costruzione del vivente.

(*È stato Il filosofo statunitense Charles Sanders Peirce il primo a proporre il concetto di abduzione come introduzione di ipotesi esplicative, sviluppando questo argomento nella sua concezione della logica della scoperta scientifica. Peirce ne ha esteso il significato, considerandola "il primo passo del ragionamento scientifico" in cui viene stabilita un'ipotesi per spiegare alcuni fatti empirici*).

Insomma, si dovrebbe invertire la rotta.

Prima di tutto, bisognerebbe smettere di andare alla ricerca dei fatti che confermano una legge prestabilita e sostanzializzata, come invece risulta essere il modello così in voga attualmente, che ha tali limiti e banalizza a tal punto la complessità.

Bocchiola

(interventi in Mailing List Società italiana di psicoanalisi 2023, liberamente tradotti )

Davvero la psicoanalisi deve interloquire con le scienze positive al loro stesso livello, pretendendo lo stesso tipo di scientificità? Nella passione per le neuroscienze quello che sconcerta è la sudditanza epistemologica, o forse il convincimento naif che quella delle scienze (tradizionali) sia la sola forma di razionalità possibile.

Perché, diciamolo, la scientificità utilizzata dalla neuropsicoanalisi mi pare ridotta a un feticcio, una superstizione, una protesi fallica, niente di più, e la cosa mi inquieta, poiché non esiste solo il ricorso alla scientificità, ma anche un uso razionale di questoricorso, anche se preferirei definirlo “genealogico”.

Cosa che forse ci aiuterebbe a mettere le cose in una prospettiva meno teologica, visto che la razionalità scientifica e la sua pretesa di un sapere universale, che valga per tutti, oggettivo e ripetibile, non sono il parto della mente di dio, ma il risultato, appunto, di una genealogia che andrebbe chiarita e di cui dovremmo essere coscienti, non fosse che per mettere le cose in prospettiva.

Alcune domande (preliminari) fondamentali:

-visto che il materiale del nostro lavoro sono i casi singolari, la psicoanalisi sarebbe un sapere della singolarità o una scienza dell’universale?

- abbiamo presente quale è la natura dell’universale scientifico? La natura del gesto che lo istituisce? E quali sono le conseguenze per la nostra pratica clinica?

- l’inconscio freudiano è compatibile con l’antropologia aristotelica che sorregge l’architettura delle scienze positive e umane?

- siamo consapevoli di questa architettura e delle sue regole? (Dovremmo, visto che ne siamo “agiti”)

- queste regole sono compatibili con l’esperienza clinica? (Se penso anche solo al problema del segno, e guardo al sogno, direi tendenzialmente di no)
- concetti psicoanalitici: che statuto epistemico hanno (e ce l’hanno, ma non scopro tutte le carte adesso) se, come evidente, non sono piegabili al modus operandi delle scienze?

- nella misura in cui prendiamo per buono l’orizzonte concettuale delle scienze (che è poi quello della vecchia metafisica), come pretendiamo di rispondere a problemi che questo stesso orizzonte produce?

A esempio
- il rapporto mente corpo, condannato a una petitio principi irrrisolvibile.
- l’origine del senso (che nel dualismo/monismo scientifico è irrisolvibile) anch’essa condannata a un regresso infinito.
- Eppure, senza questa domanda come pensare lo psichismo arcaico in modo che la nostra riflessione non presupponga esattamente quello che dovremmo dimostrare?

Long story short: il sapere scientifico nasce da un gesto particolare, inserito in una precisa dimensione storica, che è quella istitutiva della metafisica occidentale, in una partita che si gioca tra Parmenide e Aristotele, ben prima che con Galileo. Nasce grazie a un gesto particolare che istituisce il lessico dell'universalità, che quindi è tale solo all’interno del suo proprio canone (che è quello della scrittura alfabetica), della sua propria pratica, e che di questa ripete tutti i pregiudizi (a esempio, le neuroscienze ripetono, semplificandola e banalizzandola, l’antropologia aristotelica).

Perciò, siamo davanti non a un sapere assoluto e neanche a un sapere relativo (come in tutti i dualismi, relativismo e assolutismo dicono la stessa cosa, sono lo stesso gesto), ma a una specifica *pratica di scrittura* che semplicemente istituisce i propri oggetti (corpi biologici, menti psicologiche, neuroni, organismi e via dicendo) a propria immagine e somiglianza, come del resto fanno tutte le pratiche di scrittura.

Il che non toglie nulla alla grandezza e alla utilità dell’impresa scientifica, su cui tutti concordiamo.

Il vero problema è un altro: a proposito di scienze noi dovremmo ricordarci che non abbiamo a che fare con le sacre scritture, ma con una pratica contingente (e non universale, anche se costruita intorno al pregiudizio della universalità!) e alle sue evoluzioni e trasformazioni.

La trasformazione principale a cui la scienza è soggetta la fa passare da essere un sapere la cui verità è l’adeguazione della parola alla cosa, a un sapere costruttivistico, probabilistico e statistico.
Ciò non toglie che, al suo cuore, la ratio della scienza, rimanga intatta la sua caratteristica principale: la cosa “deve" avere la forma della parola, altrimenti, semplicemente, noi non ne sapremmo dire niente, non potremmo nemmeno dire che esiste.

A esempio: il Sogno

L’evento del sogno, il suo accadere, non è qualcosa che esiste di per sé, ma è qualcosa che esiste attraverso le discipline (le pratiche) che lo rendono pensabile.
Nel nostro caso, la medica universalista e la psicoanalitica.
Quando pensiamo al sogno, quindi non alludiamo alla cosa sogno, a cui la parola si adegua.
Se togliessimo la scrittura (disciplina) psicoanalitica, no vi sarebbe il sogno come evento della vita soggettiva.
E se togliessimo la scrittura medica, non esisterebbe (per noi, naturalmente) il sogno come fenomeno biologico...

Al fondo dell’impresa scientifica, che dice invece di individuare la cosa in sé, la realtà, la verità oggettiva (come se ci fosse una verità oggettiva!), rimane quindi tutta la violenza simbolica.

Se volesse finalmente emanciparsi dallo scientismo, la psicoanalisi nella sua pratica clinica e relativamente al suo oggetto — l’inconscio (ammesso e non concesso, che si possa assumerlo come nostro common ground), potrebbe finalmente indicare incongruenze, aporie e franchi errori.

Davvero crediamo che se la cosa la dice la scienza allora sono garantiti il senso e la profondità del ragionamento?

Edipo risponde alla Sfinge, -cito la meravigliosa interpretazione di Blanchot del mito-, assumendo il suo indovinello come se fosse un problema scientifico (en passant, se un problema scientifico non ha la forma dell’indovinello, allora non è scientifico): entra in Tebe vincitore, si accoppia con la madre, genera figli fratelli, gli dei danno di matto e maledicono Tebe.

Un disastro. Il mostro fuori dalle mura, muore, ma è Edipo a esserlo diventato, un mostro, e ora governa Tebe. E mostro lo è diventato proprio occupandosi dell’enigma (cosa è l’uomo), come se fosse un problema scientifico, e dimenticandosi invece del profondo della domanda.

Di quel profondo che non potrà mai diventare un sapere universale, ma che nondimeno impone di segnare il passo davanti a “lui”, ossia l’abisso della questione “cosa è l’uomo”?

 

Autore: Dott.ssa Claudia Peregrini
Tel: 00393397469709
E-Mail: c_peregrini@yahoo.it
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